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mercoledì 31 luglio 2019

Turchia (Cappadocia e altro)



DOMENICA 26/05/2019
Si parte con Pegasus Air, un cavallo alato dalle possibilità mitiche, che ci porta da Bergamo ad Istanbul (SAW) e da qui ad Antalya, ma, ad Istanbul, prima bisogna fare il controllo passaporti, uscire nella hall degli arrivi e rientrare dalla porta delle partenze domestiche con ulteriore passaggio al metal detector. Ci era già accaduta questa solenne minchiata, per cui si deve prestare particolare attenzione, durante la fase di prenotazione, ad avere un tempo sufficiente per espletare queste formalità. Il costo del volo è di circa 245 euro a testa e la compagnia (low cost della Turkish Airlines) è ottima.
All’aeroporto di Antalya dovremmo trovare ad aspettarci un addetto della Turtas Cars, agenzia presso cui abbiamo noleggiato un’auto, ma naturalmente non si vede nessuno, perciò siamo costretti a telefonare (nonostante gli accordi definitivi fossero stati presi il giorno precedente) e poco dopo arriva l’incaricato a consegnarci la vettura. La compagnia ha ottime recensioni e il prezzo è il migliore trovato online (248 euro per 13 giorni).
Essendo giunta la sera non abbiamo alcuna intenzione di fare molta strada, per cui ci fermiamo a dormire al NUN boutique hotel di Antalya (Lara). La stanza è carina, la zona colazione molto accogliente e il prezzo è veramente basso, 34 euro la doppia con ottima colazione e parcheggio privato.
Giusto il tempo di andare a mangiare qualcosa in un ristorante lì vicino, il pretenzioso Balik Evi, che dovrebbe abbassare il livello della cerimoniosità del servizio, per dedicarsi un po’ di più alla qualità del cibo: polipo e calamari non sono dei migliori e non sono stati cucinati con dovizia, mentre l’insalata mista non è male e giunge l’ora di chiudere i battenti su questa prima giornata di viaggio.

LUNEDI’ 27/05/2019
La colazione ci carica di energia per affrontare la strada che ci condurrà a Konya. Fondamentalmente è una tappa di trasferimento di poco più di trecento kilometri, che inizia malissimo a causa di un incidente che rallenta moltissimo il traffico. Dopo si procede piuttosto fluidamente, attraversando un paesaggio montano, a tratti suggestivo. Grazie ad uno sconto maturato utilizzando Expedia abbiamo prenotato una stanza all’Hilton Garden Inn, per soli 22 Euro (in realtà costerebbe 40 euro, che è comunque un prezzo irrisorio, per una soluzione così esclusiva). L’albergo si trova in posizione ottimale (con parcheggio) per raggiungere il centro della città senza troppo impegno, causato dal traffico, che è comunque di modesta entità, considerando il numero di abitanti.



   

A piedi in poco più di dieci minuti siamo di fronte alla moschea principale e nelle vie del centro storico. Fa abbastanza ridere usare questa terminologia per una città del genere, perché di storico c’è poco o niente. Qualcuno ci aveva fatto un bel ritratto di questo luogo, in realtà ritorniamo della nostra idea iniziale, cioè una sosta intermedia nel nostro viaggio verso la Cappadocia. Diamo una sbirciatina veloce alle moschee, al centro culturale ed al parco intorno all’Alladin, poi ci rifugiamo a mangiare un paio di pide al Sifa (il cibo è economico e discreto), uno dei pochi ristoranti aperti il pomeriggio in questa giornata di Ramazan. Konya è infatti una città molto religiosa, dove la maggior parte delle donne porta il velo e il Ramazan viene rispettato (e questo spiega la presenza di numerose cicche di sigarette in terra e nessun fumatore all'orizzonte). 

MARTEDI’ 28/05/2019
Lasciamo Konya in tutta scioltezza: il traffico è pressoché nullo e in un attimo prendiamo il via dal centro abitato. La strada che ci porta a Goreme, in Cappadocia, è assai lineare e poco ha da offrire a livello paesaggistico; tutto un altro discorso si può aprire quando si arriva in prossimità della meta della nostra gita. Qui è tutta una poesia di pinnacoli e formazioni rocciose utilizzate da secoli come riparo e abitazione. Il paesino di Goreme si armonizza perfettamente all’ambiente naturale e, nonostante vi siano innumerevoli attività commerciali, non s’è persa l’atmosfera calda ed avvolgente del luogo. Parcheggiamo l’auto davanti al Grand Elite Cave Suites, dove abbiamo prenotato una stanza per quattro notti. L'hotel è nuovo e la struttura suggestiva e dotata di fondamentale piscina. La colazione è buona e la qualità-prezzo ottima (55 euro la camera).
Ci fiondiamo direttamente a piedi sulla strada che, in poco più di un kilometro, ci permette di raggiungere l’open air museum. L’ingresso costa 45 lire turche a testa, un prezzo tutto sommato ragionevole per poter osservare i tesori di una civiltà passata e assai ingegnosa.
E' possibile acquistare il Cappadocia Museum pass al costo di 110 lire turche. Dura 3 giorni (72 ore) e consente la visita di: Museo all'aria aperta di Göreme, la Chiesa Scura (Karanlik Kilise), la Valle di Ihlara, la Città sotterranea di Derinkuyu, la Città sotterranea di Kaymakli, la Città sotterranea di Özkonak, il Sito archeologico di ZelvePaşabağlar, il Museo di Nevşehir, le Rovine di Çavuşin e il Museo di Hacıbektaş.
A
ll’interno delle rocce sono stati ricavati numerosi edifici religiosi e molti altri, tra abitazioni, refettori e luoghi di sepoltura, il tutto inserito in un contesto naturale maestoso e dalle scenicità sorprendenti (l’intera area meriterebbe di essere stata scelta in più occasioni come set cinematografico, per la realizzazione di film di fantascienza).
Molto bella è la chiesa completamente affrescata dalla parte opposta della strada rispetto all'Open Air Museum.
La passeggiata ci ha accaldato non poco e ci concediamo una sana pausa rinfrescante nell'accogliente piscina dell'hotel.
Molto piacevole è anche l’uscita alla ricerca di un ristorante per la cena: si respira una stravagante e leggera aria vacanziera che accarezza lo spirito ed apre lo stomaco. Ci orientiamo verso il Mozaik e possiamo ritenerci soddisfatti della nostra scelta.

MERCOLEDI’ 29/05/2019
La giornata è dedicata alla visita dei dintorni di Goreme, in particolare cominciamo con Camusin, dove ci inerpichiamo sulla collina per vedere una chiesa e poi farci trasportare dall’armonia del paesaggio in una passeggiata nella valle da cui si gode di begli scorci.


Molto più d’effetto è la tappa di Pasabagi dove si possono ammirare decine di camini delle fate dalle forme più strampalate. Qui c’è anche un’organizzatissima struttura di accoglienza con tanto di parcheggi e negozi ed un ticket office pronto per l’uso, ma ancora fuori servizio, quindi si entra ancora a scrocco.

 
Poco prima di giungere a Urgup ci si può fermare sulla strada per inoltrarsi nella Devrent Valley, dove le rocce assumono fantasiose conformazioni (c’è chi ci vede una lumaca e chi un cammello, dipende proprio dall’immaginazione di chi guarda). Molti si limitano a scattare qualche foto dal lato opposto della carreggiata, noi preferiamo conoscere un po’ meglio l’area, quindi attraversiamo e ci spingiamo alla scoperta di un altro luogo assai particolare.
  
Arrivati ad Urgup ci accorgiamo di aver utilizzato una discreta scorta di energia, perciò, essendo anche ora di pranzo, decidiamo di approfittare del fatto che Ziggy Cafe è aperto e gustiamo alcune delle sue famose meze, su una terrazza raffinata con una bella vista.
Urgup viene spesso indicata come base per la visita della zona al posto della più turistica Goreme. In realtà Urgup ha decisamente meno fascino di Goreme e non ci entusiasma.
Salire al point of view di Goreme al tramonto è un’abitudine diffusa ed anche se i colori non sono folgoranti e c’è un po’ troppa gente per i nostri gusti, non si può certo negare che l’esperienza sia galvanizzante, perché la visuale è assolutamente fuori dal comune. La sera passa piacevolmente alla ricerca di un ristorante ed alla scoperta di nuove stradine e scorci che incantano il visitatore.
GIOVEDI’ 30/05/2019
Da Goreme prendiamo la strada che, in una cinquantina di chilometri, ci porta a Soganli. Parcheggiamo l’auto nei pressi della biglietteria dove, dopo aver pagato 6 lire turche a testa, ci viene consegnata una mappetta della zona fatta a mano ed una brochure con la descrizione delle chiese rupestri che si incontrano lungo il cammino. Siamo gli unici visitatori.
L’aspetto artistico è abbastanza trascurabile, anche perché buona parte degli affreschi è stata danneggiata dal tempo e dal vandalismo, ma il percorso è piacevole, soprattutto la parte che risale la collina, dopo aver camminato per un po’ lungo il corso d’acqua a fondo valle. Ci si ritrova al villaggio dove le signore vendono le bamboline e si prende la strada asfaltata per fare ritorno al parcheggio.
 

In serata, dopo aver cenato sulla panoramica terrazza di Oscar (decisamente caro per la Turchia), visitiamo la parte, fino ad ora, inesplorata di Goreme, che così possiamo affermare di conoscere meglio dei nostri luoghi natii.

VENERDI’ 31/05/2019
Ci svegliamo alle 5.00 per salire al point of view di Goreme a goderci lo spettacolo delle mongolfiere. Infatti all’alba si alzano, tutti insieme, decine e decine di palloni, che permettono agli occupanti le ceste (ci sembrano quasi tutti orientali) di percorrere un volo mistico sull’incredibile area geologica circostante. Al point of view c’è molta gente, alcuni visibilmente rincoglioniti dal sonno (o in generale, chissà) e non si capisce come non sia ancora scivolato nessuno giù per la scarpata. Potrebbe apparentemente sembrare una pattonata turistica, e forse un po’ lo è, ma l’effetto scenico è comunque sorprendente.


A proposito dell'alba: il muezzin delle 4.30 del mattino dovrebbe evitare di prodigarsi in virtuosismi con le corde vocali ancora rattrappite dal sonno. La cosa che ci ha colpito è che durante il giorno lancia la preghiera in maniera, diciamo così, normale. Di notte, invece, si lancia in vocalizzi alla Pavarotti, ma inciampa sulle note alte e stona come Madonna all'Eurovision…

Poco fuori da Goreme iniziano le belle camminate nella valle delle rose e nella valle rossa, raggiungibili a piedi da Goreme.
Fa talmente caldo che ci pentiamo di non essere venuti in auto. Ci si arriva imboccando la strada per Cavusin e rientrando sulla destra quando si vedono le formazioni rocciose che contraddistinguono le valli.
SABATO 01/06/2019
Abbiamo tenuto come ultima escursione della Cappadocia la valle di Ihlara, perché viene descritta come “uno dei più bei percorsi di montagna di tutto il mondo”. In realtà non è questo il vero motivo, anche perché non ci fidiamo incondizionatamente di queste manifestazioni pubbliche di entusiasmo, ma semplicemente perché dobbiamo far ritorno a Konya e siamo abbastanza di strada. In realtà la passeggiata è piacevole e, dove il canyon si allarga un po’, c’è una bella sensazione paesaggistica, ma nulla di trascendentale.

Sicuramente singolare è il posizionamento dei tavoli che i vari ristoranti della zona sistemano proprio a cavallo del ruscello. Noi non ci fermiamo a mangiare qui, ma la situazione è indubbiamente suggestiva, anche se rimane qualche perplessità sulla massiccia presenza di insetti di tutti i tipi, presumibilmente ospiti del desco.
Dovendo fare tappa a Konya, per la notte optiamo per la soluzione extra lusso dell’hotel Dedeman, un cinque stelle dotato di tutti i comfort, compreso un centro fitness attrezzatissimo, due belle piscine, di cui una coperta, campo da calcio e da basket e ristorante al diciottesimo piano, per soli 46 euro. Considerato che né la città né il panorama gastronomico ci avevano entusiasmato nella precedente visita, passiamo il resto della giornata in hotel.
Abbiamo prenotato il Dedeman e le altre sistemazioni durante il viaggio con Expedia. Booking consente di effettuare prenotazioni esclusivamente al di fuori della Turchia.
Scopriamo che anche il sito di Wikipedia non funziona.

DOMENICA 02/06/2019
La strada da Konya a Pamukkale è molto gradevole, soprattutto nel tratto che costeggia il lago Egredir, ma in generale si attraversano belle vallate e, con una guida rilassata, ci si può godere il paesaggio per circa cinque ore. 

A Pamukkale abbiamo prenotato una stanza al modesto albergo Alida che si trova in una vietta proprio davanti all’ingresso del sito di Hierapolis; dalla terrazza della camera, al primo piano, si può ammirare tutto il biancore del travertino.
Giusto il tempo di posare i bagagli e ci avventuriamo alla scoperta di questo luogo unico. Si paga un biglietto di ingresso di 50 lire turche a persona e si comincia la salita. Pochi metri dopo il botteghino bisogna procedere scalzi per non rovinare il suolo camminandovi. Benché il sito scarseggi d’acqua rispetto al passato (non vi sono più le cascate ed alcune vasche sono rimaste asciutte), con la giusta esposizione, il contrasto tra il blu del cielo ed il bianco del marmo, consente di scattare fotografie memorabili.



Sulla salita si incontrano ancora diverse vasche con l’acqua all’altezza del ginocchio, in cui è possibile rinfrescarsi un poco. Al vertice c’è una concentrazione di persone simile ad una piscina comunale in piena estate, quando l’economia è in crisi e la gente non ha più un tollino per andare in vacanza,;tra l’altro la percentuale di persone volgarissime è più alta che mai, i cinesi in particolar modo riescono a stare in mezzo ai piedi, fermandosi a fotografare l’impossibile, nei punti di passaggio più stretti.
A volte ci si domanda come si possano verificare incidenti per ammassamento della folla, senza motivi apparenti, ecco che prontamente questa situazione suggerisce la risposta: è sufficiente una buona quantità di rimbambiti. Fortunatamente la densità di popolazione si riduce superando questo punto, che è anche il più insignificante dell’intera area, ma probabilmente il più vicino allo scarico dai pullman delle gite organizzate. Da qui ci si può rimettere le scarpe ai piedi e si potrebbe puntare direttamente al teatro, ma noi preferiamo percorrere la passerella in legno che costeggia altre zone in cui il travertino impera, sino alla necropoli, poi torniamo indietro, nella solitudine più assoluta (non par vero di trovarsi nello stesso luogo) verso la via di Frontino, passando sotto l’arco di Domiziano.
 
L’antica strada conserva ancora molte parti intatte; un importante lavoro di rivalutazione è stato fatto sulle latrine. Da qui raggiungiamo il teatro romano, che è un vero capolavoro, di gusto sopraffino, sia negli aspetti più evidenti, quali il palco ed i pannelli decorativi, sia nella disposizione dei posti a sedere, con un’ottima verticalità per poter garantire la presenza di oltre 12000 spettatori e perfetta visibilità della scena da ogni ordine di posto. Riprendiamo la discesa nel tardo pomeriggio, quando la luce si fa più calda, creando ulteriori atmosfere incantatrici. Con un po’ di stanchezza e malinconico distacco tocchiamo la pianura e lo stomaco è pronto per gli hamburger e le birre del Fenomen Burger House Cafè Pub, un locale che non ha niente di tipicamente turco, ma un’ottima qualità dei suoi prodotti da offrire alla clientela.

LUNEDI’ 03/06/2019
Il trasferimento da Pamukkale a Selcuk dura circa tre ore. Ad un certo punto imbocchiamo un’autostrada (con i cartelli verdi) senza sapere tanto bene quale canale prendere (non vi sono le sbarre ai caselli e nemmeno la possibilità di ritirare un biglietto). La cosa ci ha colto completamente impreparati, anzi avevamo da poco finito di elogiare i Paesi che hanno un’ottima rete stradale, senza il pagamento del pedaggio. Ci documentiamo e capiamo di esserci comportati discretamente bene, infatti sulla nostra auto a noleggio è presente un adesivo HGS che funge da telepass, quindi non dovremmo incappare in sanzioni di alcun tipo. Questa è un’informazione molto utile per chi voglia guidare un mezzo di trasporto in Turchia (forse sarebbe stato il caso che il nostro noleggiatore ce lo avesse detto). 

Selcuk è la base ideale per visitare il sito archeologico di Efeso. Noi abbiamo prenotato una stanza al Celsus Boutique Hotel, che è una vera bomboniera: l’edificio in pietra ha un cortile interno dove è stata costruita una piscina non molto grande, ma assai invitante; i lettini sono adagiati su un prato d’erba perfettamente curata e la camera ricorda tanto quelle dei B&B inglesi più raffinati e c’è un favoloso profumo di pesche. Ci rilassiamo un po’ in questa atmosfera fighettosa e verso le cinque del pomeriggio ci spostiamo verso il sito. Si pagano 10 lire turche per il parcheggio (ancora strapieno, nonostante pare che l’ora di punta sia un’altra) e 60 lire a persona per l’ingresso. Le aspettative sono molto alte, perché la fama del luogo è mondiale: è stato definito il sito di città classica più completo d’Europa… è sicuramente la storia greca e romana concentrata e a portata di mano del visitatore, ma in tutta sincerità non possiamo dire di essere rimasti strabiliati, come lo fummo invece alla Valle dei Templi di Agrigento o a Jerash in Giordania.

 

E' comunque una tappa di tutto rispetto e ci ha permesso di scoprire anche Selcuk, che si è rivelata più di una semplice base d’appoggio, con la fortezza di Ayasuluk e la basilica di San Giovanni, di cui rimangono in piedi solo alcune colonne a causa di terremoti e distruzioni umane, nonostante l’importante lavoro di scavo e restauro architettonico. Quando ci passiamo davanti, facendo ritorno dal ristorante Hejder, presso cui abbiamo consumato una gustosa ed economica cena, è tutta illuminata con faretti fissi e mobili e scopriamo che l’accesso è libero, perché è in corso un evento musicale e di lettura di poesie, in una cornice che il buio della notte e le luci artificiali e quelle della stellata, rendono magicamente suggestiva. Anche la fortezza sullo sfondo è illuminata d’arancione e l’acquedotto romano, più in basso, accoglie sulla sommità nidi di cicogne che ormai da noi si rifiutano di arrivare.
  
MARTEDI’ 04/06/2019
Il post-Cappadocia era stato individuato come “riempitivo”, ma ha sorpreso positivamente con Pamukkale e Selcuk. La tappa di Bodrum invece conferma la prima ipotesi, anzi nel complesso si può tranquillamente definire TEMPO PERSO: il posto sarebbe anche bello, ma è discreato dalla marea di gente presente e dalle innumerevoli attività commerciali. Il mare è reso invivibile dalla miriade di barche, le spiagge sono invase da ombrelloni e lettini, il livello qualità-prezzo di alberghi e ristoranti non è neanche da considerare; insomma è una giornata che poteva essere impiegata in un altro modo… ma è facile ironizzare su Bodrum dicendo che è una ridente cittadina dalla fervente vita notturna, ma non è sempre stato cosi: un tempo era un sonnolento villaggio di pescatori, per questo motivo hanno cambiato il nome; prima si chiamava Bedrum. E qualcuno più astioso oggi l’ha definita Bathroom.
Scopriamo che il motivo dell’estremo affollamento della località all'inizio di giugno è determinato dalla settimana di festività per la fine del Ramadan, in cui TUTTI i turchi vanno in vacanza.

MERCOLEDI’ 05/06/2019
Lasciamo Bodrum con una certa felicità ed intraprendiamo una strada, a tratti piacevole, di più di quattro ore, per approdare a Gelemi, un paesino di campagna situato in una valle costellata di serre, a ridosso della spiaggia di Patara. Abbiamo prenotato una stanza all’accogliente (se non si considera l'odore di cesso in camera) Rose Pension, che dispone di una piscina rilassante in un’atmosfera bucolica. I proprietari della pensione sono molto gentili e disponibili e per 50 lire turche preparano anche un’ottima cena a base di pesce di mare e verdure dell’orto. 

GIOVEDI’ 06/06/2019
Dopo la agrituristica colazione del Rose andiamo a scoprire le rovine di Patara e l’attigua spiaggia; si paga un ingresso di 20 lire turche e si può parcheggiare l’auto, sia in prossimità della spiaggia, dove c’è uno spiazzo enorme, che a fine mattinata è strapieno, sia nei pressi del sito archeologico. Quest’ultimo non è particolarmente interessante, mentre la spiaggia avrebbe un potenziale enorme, sia per la larghezza della baia (18 kilometri), sia per l’ambientazione naturale, peccato che la sabbia sia troppo scura e renda il mare non propriamente invitante, e che vi sia uno stabilimento balneare in cui, nonostante la lunghezza del litorale, si piazzano tutti appiccicati l’uno all’altro… meglio, però, per chi, come noi, cerca un po’ di tranquillità.




Dopo questa parentesi marina prendiamo la bella strada interna, che ci fa attraversare affascinanti vallate, sormontate da imponenti montagne e ci porta alla periferia di Antalya e precisamente a Dosemealti, dove abbiamo prenotato, per 46 euro, al VIB Best Western, una camera super confortevole; l’albergo mette a disposizione dei clienti anche una piscina coperta di 25 metri, in cui è possibile dare sfogo alle velleità di nuotatori provetti.

VENERDI’ 07/06/2019
Lasciamo la surreale zona industriale senza attività, a causa dei giorni di festa, dove si trova il VIB, per ritrovarci nella più incasinata area urbana di Antalya. Visitiamo il centro storico dopo aver parcheggiato la macchina  gratuitamente nel garage del centro commerciale Mark Antalya, in posizione strategica per raggiungere il centro senza avventurarsi nelle sue stradine in auto.

Inizialmente la città non sembra un granché, poi scopriamo alcune viuzze interessanti, (ce ne sta una in cui il cielo viene quasi escluso dalla moltitudine di ombrelli aperti appesi a mezz’aria, tra una casa e l’altra), sopra la fortificazione del porto, dove si sono installati diversi locali e boutique hotel e, il giro diventa piacevole.
 
  

Per l’ultima notte abbiamo prenotato una stanza bella ed economica al Lara Garden Butik Hotel, che si trova nell’omonima località ed è molto vicino all’aeroporto (circa 15 minuti). Abbiamo la malaugurata idea di andare a fare un salto in spiaggia, per vedere come sia, e se si trova un ristorante simpatico in cui mangiare qualcosa, ma questa parte del paese è assolutamente deprimente, nonostante l’enorme quantità di persone presenti sembri testimoniare l’esatto contrario. I beach bar sparano musica da discoteca ad un volume assurdo, creando un’atmosfera di falsata leggerezza, decadente e desueta, le persone alzano nuvolette di polvere di quella che non è sabbia morbida, ma dura terra, ed è tutto un po' triste.
Rimettendo insieme i pezzi di un’esperienza che si forma viaggiando, strada facendo, giorno per giorno, si assembla un bagaglio da portare a casa, con una punta di amarezza per qualche improvvisazione dell’ultimo minuto.

giovedì 9 maggio 2019

Long Island (Bahamas)

23 MARZO - 6 APRILE 2019
Le uniche compagnie che volano su Long Island sono la Southern air e la Bahamas air (e il charter del resort Stella Maris, più costoso) e l’unica tratta che compiono è la Nassau-Long Island-Nassau. L’unico modo per raggiungere la nostra meta è quindi quello di acquistare un volo internazionale su Nassau e da qui prendere un volo di una delle compagnie succitate verso Long Island.
Dopo una snervante ricerca, ci rendiamo conto che è impossibile arrivare a Nassau e ripartire per Long Island in giornata e ci arrendiamo all’idea di dormire a Nassau.
Acquistiamo “a malincuore” un volo della scarsissima Iberia su Nassau a poco meno di 600 euro a/r e il volo interno per Long Island con la Southern Air per 240 dollari a testa a/r.
Per il pernottamento a Nassau, dove arriviamo a mezzanotte circa, troviamo una discreta soluzione per soli 106 dollari, compreso il servizio di trasporto da e per l’aeroporto (il costo di un taxi one way sarebbe superiore ai 20 dollari), allo Studio Loft Near Airport, che dal momento della prenotazione al nostro arrivo, cambia il suo nome in Airport Sway. Questo cambio di nome dovrebbe destare qualche perplessità sull’affidabilità del gestore, che, invece, si rivela attento e preciso nel servizio offerto.
Ci svegliamo alle 6.30 per prendere il volo delle 8.00, ma avremmo potuto rimanere a letto ancora un po’, considerando il ritardo di oltre un’ora; a saperlo prima… un po’ di riposo in più non avrebbe guastato.
L’arrivo a Long Island è piuttosto deprimente, perché vi è una compatta copertura nuvolosa che impedisce di godere di uno dei paesaggi marini più impressionanti (sorvolare le Bahamas è sempre spettacolare) e all’atterraggio il clima è condizionato dal grigio del cielo e da un vento fastidioso, che abbassa notevolmente la temperatura.
Abbiamo prenotato l’auto con Unique Wheels (una delle 2 o 3 agenzie di noleggio dell’isola, sicuramente la più gettonata), che ha ottimi prezzi; i gestori sono gli stessi proprietari del Harbour Breeze Villas dove soggiorneremo. L’auto si trova, come da accordi, nel parcheggio dell’aeroporto con le chiavi sotto il tappetino. Il contratto verrà perfezionato il giorno successivo in ufficio dove avremo la positiva sorpresa di uno sconto di 60 dollari sul previsto (480 dollari per 13 giorni invece dei 540 concordati). Forse perché l’auto (una Toyota Vitz) ha una carrozzeria impresentabile e quando si inserisce la chiave nel quadro si sprigiona un inquietante rumore di motorino elettrico in difficoltà, proveniente dallo specchietto del passeggero… niente che non si potesse sistemare con un paio di sberle… Confidiamo nelle migliori prestazioni meccaniche e, dopo aver allacciato le cinture, grazie ad un simpatico messaggio vocale della casa produttrice, in lingua originale, ci mettiamo in marcia in direzione Clarence Town.
Sulla strada troviamo un negozio di alimentari aperto e ne approfittiamo per acquistare un gallone di acqua potabile (a Long Island si può teoricamente bere quella del rubinetto, ma come si suol dire: fidarsi è bene, ma bere da una bottiglia chiusa è meglio).
Clarence Town si trova a poco più di venti kilometri dal Deadman’s Cay airport, per cui in un attimo siamo a destinazione, anche perché la carreggiata è completamente deserta, c’è giusto qualche auto in prossimità delle chiese.
L’Harbour BreezeVillas, prenotato tramite Expedia, dispone di alcune ville disseminate nella vegetazione, ben tenute, a pochi passi da un mare dalle colorazioni sovrannaturali, e di due edifici più grandi composti da studio.
Il nostro studio è molto bello ed economico per gli standard bahamensi (circa 90 euro a notte): c’è un balconcino con vista eccezionale e l’arredamento è nuovo e curato (fin troppo: le abatjour hanno ancora il cellophane intorno al paralume, ma probabilmente non glielo toglieranno mai) ma il lettone matrimoniale vede la presenza di tre materassi sovrapposti, il che porta il piano dormita a più di un metro e quaranta dal pavimento… bello, eh?!? Ma uno non è che per andare a dormire debba, per forza, essere dotato dello slancio dorsale di Sara Simeoni o dei poteri rampicatori dell’uomo ragno o di Reinhold Messner. “Ciao”, “Dove vai?”, “Salgo un attimo a letto”… Per non parlare della non trascurabile possibilità di cadere da quell’altezza e spiaccicarsi al suolo come un’iguana appesantita dalla cucina influenzata dagli americani e rincoglionita dal jet lag.
A pochi metri dalla stanza c’è una spiaggia pazzesca con qualche lettino, ombrellone e canoa a disposizione dei clienti dell’Harbour Breeze.
L’isola è lunga e strettissima e ci si impiega più di un’ora e mezza per percorrerla da un capo all’altro lungo la Queen Highway (fa abbastanza ridere questa toponomastica altisonante per una strada simile), ed è superdotata di spiagge pazzesche e nient’altro, praticamente perfetta.
SPIAGGE A SUD DI CLARENCE TOWN
LOCHABAR
E’ la spiaggia vicina all’Harbour Breeze e si raggiunge seguendo proprio i cartelli che indicano la struttura, a pochi km a sud di Clarence Town.
Da casa, visionandone le immagini su internet, ci era sembrata una delle migliori dell’isola, ed infatti la prima impressione è ampiamente confermata, se non addirittura amplificata: il sole ormai splende gloriosamente e vivacizza i colori del mare che qui è reso placido e caldo dalla presenza di isolotti e barriera corallina, arginanti l’oceano Atlantico che, in lontananza, si fa sentire, molto meno “pacifico”.  Si è formata un’enorme piscina naturale in cui non è possibile non buttarsi a capofitto. E’ una vera goduria sguazzare in queste acque incredibilmente cristalline. La spiaggia è di sabbia morbida e fin troppo bianca, da risultare quasi accecante.
 
  
In fondo alla spiaggia, verso sud, c’è un blue hole meno noto di quello di Dean’s, forse solo per i contorni meno definiti: una vera pacchia per gli amanti del diving.  

L’unico difetto è che, come la maggior parte delle spiagge sul lato atlantico, può a volte essere molto ventosa.
GORDON’S
Arrivarci è semplice: è sufficiente percorrere la Queen Highway in direzione sud fino a quando finisce la strada e si vede la spiaggia sulla destra, stando sempre molto attenti a non investire animali di varie specie, dalle più domestiche alle più insolite, tipo capre, trampolieri, cinghiali o granchi rossi.



Ci sono svariate tipologie di classifica riguardanti i litorali più belli del mondo e nessuno si è mai sognato di farci entrare Gordon’s… Beh, noi saremmo ben disposti a spodestare qualche immeritato vincitore e a sostituirlo con questo gioiello. La baia è talmente ampia che definirla come una sola spiaggia risulta quasi riduttivo: in essa ne sono armoniosamente inglobate almeno quattro, con caratteristiche differenti e sorprendenti. Chi cerca i colori folgoranti dei panorami marini esotici, qui soddisferà abbondantemente le proprie aspettative: i martin pescatori si rincorrono sulla battigia bianchissima, le conchiglie riverberano di rosa in madreperla e le acque dimenticano le trasparenze iniziali per alternare tutte le tonalità di azzurro e verde, a seconda delle profondità, non sempre in aumento progressivo verso il largo. In cielo si possono ammirare le acrobazie di molte specie di uccelli e in acqua, anche vicino a riva, si alternano varie famiglie di pesci; qualcuno ha anche raccomandato grande attenzione a bagnarsi qui, per la presenza di squali, attirati dagli scarti dei pescatori. La zona è stata devastata dagli ultimi due uragani: oltre alle case degli uomini ne hanno pagato il prezzo anche gli alberi, molti dei quali sono stati sradicati, soprattutto i più alti, infatti la vegetazione è composta fondamentalmente da cespugli, con grande dispiacere di chi troverebbe volentieri un po’ di tregua dal sole, sotto la chioma di una palma.

GALLOWAY
Si trova a pochi km dall’Harbour Breeze sul lato caraibico. Per raggiungerla da Clarence Town procedendo verso sud, dopo il secondo stagno sulla destra, si gira a destra in prossimità di una curva su una strada asfaltata, con qualche buca, che arriva direttamente nella parte nord della spiaggia.
Si può parcheggiare qui oppure proseguire sulla sinistra fino a che si incontra un ponte in prossimità della foce dello stagno. Qui si trova la parte più scenica della lunghissima spiaggia e ci sono alcuni alberi di casuarina (una rarità su quest’isola), la cui ombra consente una sosta prolungata, senza timore di essere bolliti, o arrostiti, da un sole che picchia come un forsennato.
Ci sono alcune abitazioni e un paio di postazioni per il barbecue e incontriamo addirittura due persone.
E’ incantevole e ci riporta a modificare ulteriormente la top ten! Ci troviamo su una spiaggia lunghissima che potrebbe essere suddivisa in minimo cinque o sei, soprattutto dopo la foce della laguna interna che si riversa in mare, con una frizzante corrente con cui i pesci, tra cui una splendida razza, giocano in evoluzioni coinvolgenti. Per attraversare il canale si può passare con la bassa marea oppure utilizzando un ponticello interno.
Quando si cammina per kilometri su una spiaggia ed al ritorno gli unici segni che si vedono sulla sabbia sono le proprie impronte al contrario, lasciate all’andata, si capisce di essere veramente soli, nel tempo e nello spazio, con un mare d’avorio e smeraldo, immenso, di fronte. Difficile trovare qualcosa di più bello di Galloway, dove i paradisi artificiali cedono le armi di fronte a quelli naturali.
 

 
  

DUNMORE
Una giornata di trottoleria spiaggifera ci porta a tentare di verificare la validità di alcune foto viste online in cui Dunmore pare avere un litorale eccezionale… e infatti così non è: dopo aver attraversato l’abitato, deviando dalla Queen Highway, prendiamo la sterrata che arriva direttamente al mare e troviamo una spiaggia brutta e sporca con l’oceano senza protezioni e quindi libero di scatenare la sua enfasi, che da un certo punto di vista è anche logico e affascinante, ma per chi cerca baie tranquille, dove nuotare in sicurezza, è una vera delusione. La domanda sorge spontanea: “ma quelli che pubblicano roba in rete non potrebbero documentarsi un po’ meglio?!?”

CABBAGE POINT E FORDS LANDING
Per raggiungere Cabbage Point si procede da Clarence Town verso sud e, dopo 5 km dall’abitato di Roses, subito dopo il benzinaio e lo sfasciacarrozze abbandonati, si gira a destra e si imbocca una strada ben tenuta per un km e 300 metri.
Cabbage Point è una “piccola” chicca sabbiosa. Qui è tutto abbagliante di luce e bellezza, persino la laguna interna fa venire voglia di buttarsi alla fanfasò, ed il paesaggio, se possibile, è ancora più solitario e silenzioso che mai; dopo essere stati così fortunati, ma anche ingegnosi, da essere stati in questi luoghi magici ed incontaminati, qualsiasi altra località, con anche solo due persone a centinaia di metri di distanza, ci sembrerà affollata. C’è una tale vastità ed ogni angolo sembra invitare alla sosta, per contemplare la dolcezza delle immagini. A livello emozionale è difficile contenere l’entusiasmo e la sensazione di assoluto benessere è amplificata dal fatto di non percepire alcun pericolo: si gode sempre di un’atmosfera di totale sicurezza, nonostante la solitudine.
  


Il sud sembra essere stato più colpito dagli uragani: si può toccare con mano la desolazione e quasi pure la rassegnazione dell’abbandono, ma vi è qualcosa di poetico in località apparentemente meno esaltanti come, ad esempio, Fords Landing, raggiungibile a piedi da Cabbage Point (o procedendo sulla strada dopo Cabbage per circa 600 metri fino ad un piccolo molo).
  
 SPIAGGE ZONA CENTRALE (TRA CLARENCE TOWN E SALT POND)
DEAN’S BLUE HOLE E TURTLE COVE
La strada per raggiungerli è ben segnalata lungo la Queen Highway sulla destra arrivando da Clarence Town, di fronte al Lloyd's Restaurant & Sports Lounge. Un cartello avverte che la strada è privata ed è chiusa dalle 7 pm alle 6 am.
Dean’s Blue Hole è l’highlight dell’isola, la peculiarità che l’ha resa famosa in tutto il mondo. E’ effettivamente una sensazione unica trovarsi di fronte ad un buco blu, con abisso di oltre 200 metri a pochi centimetri dalla battigia: sabbia di borotalco, trasparenze delicate e poi, improvvisamente le profondità più oscure e misteriose di una fossa dalla circonferenza perfetta. Per rendere a pieno la spettacolarità del fenomeno bisognerebbe scattare una foto dall’alto, possibilmente dal centro del cerchio; non disponendo, però, di superpoteri o dei famigerati sistemi tecnologici condensati nei tanto amati droni, diffusi come varicella in tutti i reportage di viaggio, proviamo ad arrampicarci sulle rocce adiacenti e a fare del nostro meglio.




La spiaggia di Turtle Cove, dove nidifiano le tartarughe, che ospita il Blue hole di Dean potrebbe essere un’altra incredibile perla, se non fosse così trascurata. Speriamo solamente in una casualità e di esserci trovati qui in un brutto momento e che dopo qualche giorno arriverà un volenteroso addetto della municipalità a dare una bella ripulita, rimuovendo le alghe marcescenti, ma soprattutto rifiuti d’ogni forma e materiale, principalmente plastica, provenienti dal mare, ma sicuramente anche da qualche visitatore bipede, dalle scarse capacità cerebrali… penoso!!!
BONNIECORD & LOWES
Dalla svolta per Turtle Cove procedendo verso Clarence Town, dopo 2 miglia e un quarto, si trova una strada a sinistra in prossimità del cartello per Compass Rose Guest House parecchio accidentata che conduce alle spiagge dopo circa 600 metri.
Non abbiamo elementi certi per individuare e affermare quale sia l’una e quale sia Bonniecord e quale Lowes, perché le descrizioni in nostro possesso non sono molto attendibili e molte persone del luogo non hanno mai sentito questi nomi o ne usano altri, o se ne fregano di dare un nome a qualcosa che conoscono da sempre e che, al massimo, chiamano spiaggia.
Usiamo il parametro del Compass Rose guesthouse ormai chiusa e in vendita, che aveva belle stanze con vista su Lowes e desumiamo quindi che questa sia la lunga distesa che si srotola a perdita d’occhio, sotto il rumore delle onde smeraldo che risucchiano la bellezza dalla terra, con scenici promontori rocciosi e faraglioni simil piccoli apostoli. E che Bonnie Cord, di conseguenza, sia la deliziosa bomboniera, chiusa al blu dell’oceano da braccia di roccia e corallo, creando una piscinetta naturale dai colori pastello e dalle temperature tiepide che accarezzano la pelle coccolando lo spirito, in un bagno che non si vorrebbe smettere mai, soprattutto se si fa amicizia con un pesciolino irriverente, che si fa sempre più curioso, abbandonando il timore dell’uomo, prendendo maggiore confidenza, in un gioco dalle mille evoluzioni… Arrivederci amico pinna gialla.
  



TURNBULL
Prendendo la strada adiacente al Lloyd’s Restaurant & Sports Lounge si scende per circa tre kilometri e si arriva ad un bivio dove una deviazione attraversa la laguna interna e conduce alla piccola spiaggia di Turnbull, molto tranquilla e quasi mistica, con il cimitero del paese alle spalle. Nonostante il fatto di capitare qui nel tardo pomeriggio, si possono ammirare colori pacificanti che, in pieno sole, probabilmente saranno ancora più accattivanti.

GUANA CAY
Una volta raggiunta la destinazione Bower’s Settlement (in località Pinders) giriamo nella prima strada di sabbia a destra (con dinicazione Cocconut Bay).
Alcuni soggetti strani l’hanno definito la più bella di Long Island; in un mondo in cui l’oceano se ne sta buono buono e non riversa nella baia tutte le alghe e la sporcizia di cui è capace, si potrebbe anche avvalorare questa tesi, perché l’ambientazione è sicuramente molto scenica, ma in queste condizioni preferiamo orientare la nostra massima votazione altrove.
  
SPIAGGE A NORD DI SALT POND

NORTH SALT POND
Si raggiunge imboccando la strada di fronte al Farmers Market in località Salt Pond ed è una spiaggia tipicamente oceanica e, se le onde si mantengono sempre di questa entità, si presta più ai surfisti che ai bagnanti. E’ abbastanza trascurata ed effettivamente perdibile (sempre considerando il numero di spiagge eccezionali presenti sull’isola).
 

INDIAN HOLE POINT
E’ indicato lungo la Queen Highway dopo Salt Pond, ma non presenta una vera spiaggia. E’ carino per il pranzo fermarsi al Tiny Hurricane Hole.
MCKANN’S
Provenendo da Clarence Town e superato l’abitato di Salt Pond, poco dopo il cartello per Indian Hole Point sulla sinistra si incontra un centro giovanile. Si imbocca quindi la strada di fronte al centro indicata da una piccola freccia di legno.
Si incontra dopo poco una curva a sinistra, passata la quale, dopo circa 400 metri si gira a destra (c’è un cartello che indica un resort) e si passa in mezzo a due stagni. Subito dopo si incontra un nuovo stagno sulla destra e si può parcheggiare nei pressi della casa blu.
La spiaggia è molto più affascinante di North Salt Pond, anche se sarebbe molto più accogliente con meno vento, come da foto viste online. Comunque anche in questo “stato” è una baia dai colori sorprendenti.
 
WHYMNS
Procedendo verso nord nei pressi dell’abitato omonimo si imbocca una strada sulla sinistra (precisamente la strada successiva a quella che indica il tropico del cancro) che conduce direttamente in spiaggia.
Si trova sul lato caraibico ed è proprio ciò che ci si aspetta da una spiaggia caraibica: distesa lunghissima e alberi di casuarina a fare un po’ d’ombra. Nonostante la sabbia non sia il solito borotalco accecante, l’acqua si tinge di tonalità da evidenziatore fosforescente, ma non presenta la cristallinità assoluta che invita al tuffo immediato. Qui ci sono diverse possibilità d’alloggio, di conseguenza non ci si sente completamente isolati, come in altri contesti precedenti. C’è anche una residenza dal design avveniristico, ma che pare sia stata momentaneamente dimenticata.

DEALS
La splendida spiaggia di Deals (a circa un’ora da Clarence Town), si trova proprio di fianco alla Queen Highway in prossimità dell’abitato omonimo. Si tratta di una lunga lingua di sabbia pervasa da casuarine, quindi con moltissime possibilità d’ombra, ideali per picnic e bivacchi d’ogni tipo, un po’ meno per stendersi con il pareo, perché è molto stretta e c’è pochissima sabbia asciutta, ma è un vero peccato, perché l’acqua è talmente trasparente e ferma, nonostante non ci siano apparenti ripari, da far venire voglia di entrarci, anche solo per darle un po’ di movimento. C’è anche un baretto carino.
  

CAPE SANTA MARIA E GALLIOT CAY
Per giungere a Cape Santa Maria dall’Harbour Breeze impieghiamo circa un’ora e venti minuti.
Ci si arriva seguendo il cartello che indica il Cape Santa Maria Beach resort, dove si può parcheggiare e con un breve passaggio entrare in spiaggia.
E’ uno dei postoni di mare più mitici della storia dei postoni di mare, non per niente ci hanno costruito (fortunatamente con gusto) un resort e ville di lusso. La visione è allucinante, tutto è perfetto: il lucore e la consistenza della sabbia, farina sempre fresca tra le dita dei piedi, con un bagnasciuga molto profondo, dove invece è compatta e consente quindi di camminare, o ancor meglio, di correre, con assoluta naturalezza e senza alcuno sforzo. Il Mar dei Caraibi qui dà il meglio di sé, sfoderando quel colorino che sta tra il celeste, l’azzurro, lo smeraldino ed il latte e menta fosforescente e quando ci si tuffa è una liberazione dei sensi e par di stare in un bagno di cobalto e bicarbonato solvay, rinfrescante ed avvolgente. Quando ci capitiamo noi c’è un po’ d’onda e risacca e questo gioco smuove la sabbia sul fondo, rendendo l’acqua meno trasparente del solito, ma leggermente torbida, per quanto si possa utilizzare questo aggettivo ignobile per una meraviglia simile. Si trovano parecchi alberi, quindi è possibile trascorrervi diverse ore senza il timore di un’insolazione o di essere avvicinati dagli ospiti del resort che, evidentemente, se ne allontanano solamente in auto, in barca e qualcuno anche in aereo, visto che c’è una piccola pista d’atterraggio per velivoli privati… In ogni caso la rena si estende così a lungo che si riuscirebbe a trovare uno spazio riservato anche se ci fossero cinque o sei albergoni a dieci piani.
 


Avendo voglia di fare una bella sgambata ed un po’ di cross tra rocce e sentieri cespugliosi (meglio portarsi le scarpe per questi attraversamenti se non si vogliono raccogliere sotto le piante dei piedi tutti i pallini spungiglini della zona), si può procedere verso sud.
 
Dopo il primo ostacolo roccioso si ritorna a toccare, con ovazione e ringraziamento alle più svariate divinità, da quelle nordiche a quelle asiatiche, una lingua di sabbia (che pare ancora più morbida e rinfrescante), corribile in scioltezza in circa quattro minuti; poi ancora rampeghini da escursionismo blando, ma sempre con attenzione. Qualche gentiluomo ha pensato di mettere un punto di ristoro per gli accalorati esploratori (non è vero, probabilmente se ci si sdraia su quell’amaca ci si becca un rosone di pallettoni… qui non abbiamo ancora avuto le brutte esperienze di Eleuthera, ma gli americani ricchi non sembrano avere un gran senso dell’umorismo, quando si parla di proprietà privata e pensare che qualche coglionazzo vorrebbe replicare lo stesso atteggiamento anche in Italia… Mah?!?)
Si ridiscende sul candore di Galliot Cay Beach, calpestabile fino al vertice con una corsetta di nove minuti.

Per raggiungere Galiot Cay in auto si segue l’indicazione per il Cape Santa Maria Beach Resort e invece di andare a destra al bivio a t si segue il cartello sulla sinistra pe il Galliott Cay residence che non è altro che una serie di (poche) ville pazzesche sul mare. Si può lasciare l’auto lungo la strada in uno dei tanti punti liberi.
COLUMBUS MONUMENT
Siamo in dubbio se azzardare o meno un tentativo sull’orrenda strada che conduce al monumento a Cristoforo Colombo.
Poco dopo la strada per il Cape Santa Maria verso nord sulla sinistra è indicato. La strada è veramente dissestata e ci vogliono 15 minuti per percorrere i 2,8 km.
Alla fine prevale l’istinto avventuroso e quando arriviamo a destinazione troviamo una bella spiaggetta, ma sarebbe un po’ poco per giustificare tanta fatica, poi però saliamo sulla ripida via d’accesso al monumento e prima di giungervi scorgiamo con la coda dell’occhio, sulla destra, una terrazza che si affaccia su un paesaggio eccezionale che ci dona una meravigliosa visione d’insieme, dalla quale traiamo ispirazione per una camminata alla ricerca di tutto quell’azzurro.
  

NEWTON
Ci dispiace assai salutare Cape Santa Maria, ma la strada del ritorno è abbastanza lunga (più di ottanta kilometri) e prima vogliamo andare a vedere la nascosta spiaggia di Newton, (si raggiunge tramite un sentiero proprio dove finisce la strada all’estremità nord dell’isola nei pressi di un parchetto curato) che però è abbastanza deludente, per la sporcizia portata dalle onde ed è una grossolana bestemmia, perché l’ambientazione circostante è da spettacolo della natura.

STELLA MARIS, ROCK POOLS E LOVES BEACH
Seguendo l’indicazione per l’aeroporto e il Resort di Stella Maris lungo la Queen Highway, e imboccando poi la quinta strada sulla destra si entra in Ocean Drive e si attraversa un insediamento residenziale molto esclusivo.
La spiaggia di Stella Maris che si trova in un perfetto scenario oceanico. 

Proseguendo sulla Ocean Drive si trovano i cartelli che indicano la direzione per raggiungere Rock Pools

 
e più avanti Loves Beach, entrambe molto suggestive, ma penalizzate da un moto ondoso estremamente vivace, che probabilmente lo è meno in alcuni momenti, nei quali le pools sono delle placide e tiepide tinozze e le loves balneabili in sicurezza.
CLARENCE TOWN
La “visitiamo” in una giornata di cielo molto nuvoloso e scrosci di pioggia, nell’attesa che la situazione meteo si ristabilisca, consentendoci di andare ad apprezzare nuove spiagge (siamo fiduciosi) ci rechiamo alla marina dove c’è un bel molo transitabile a piedi dal quale godere di un paesaggio nautico aperto e della costa, dalla prospettiva delle barche in arrivo. Giriamo dietro al Lighthouse e troviamo una spiaggia di paese dal tipico approccio oceanico, mentre la parte anteriore, protetta dal porticciolo è molto più intima e delicata. Il fighettismo del circolo nautico si può notare da come vengono curati anche gli spazi comuni.
 

CIBARIE
Le Bahamas non sono il posto migliore per nutrirsi.
Ci sono alcuni supermercatini con prezzi alti. Uno dei più forniti è il Hillside Market a Salt Pond che, a quanto pare, è il più fornito di prodotti agricoli freschi. In realtà la prima volta che ci andiamo c’è solo un po’ di frutta e qualche pomodoro molliccio e addirittura due melanzane appassite…
La situazione migliora nei giorni in cui arrivano i rifornimenti da Nassau e tutti i negozi dell'isola sono più forniti, senza esagerare però.
Quindi ci rassegniamo definitivamente ad affrontare due settimane di sopravvivenza alimentare; compriamo le solite minchiate a prezzi mostruosi e ci complimentiamo con noi stessi per aver portato una buona scorta di pane elfico dalle terre d’origine. Vicino all'Hillside Market c’è anche un liquor store dove acquistiamo quattro bottigliette di Kalik (una birra di produzione bahamense) alla modica cifra di 14 dollari… conviene andare al bar…
A Clarence Town non ci sono supermercati ma si possono comprare alcuni prodotti alla panetteria di Erica's Bakery & Shop, la casa arancione sull’altura.
Ogni sabato mattina a Salt Pond si tiene il Farmer's Market, dove si possono acquistare prodotti agricoli e di artigianato locale.
I ristoranti sono pochi e cari. Noi ne proviamo tre.
Il Tiny's hurricane hole, carino per il pranzo, con dei piatti decenti.
Il Lloyd's Restaurant& Sports Lounge, a pochi km da Clarence Town, che ha prezzi buoni ed anche della qualità del cibo non ci si può lamentare; lo spezzatino di montone, per esempio, è un piatto discreto, ci sono due contorni a scelta, inclusi nel prezzo accessibile di 15 dollari.
Il Lighthouse Point Restaurant, presso il porticciolo di Clarence Town, che ha l’atmosfera sofisticata di un marina club, i prezzi di un ristorante fighetto con chef rinomato, peccato che in cucina, invece, ci sia qualcun altro, per cui il risultato è un po’ triste, ma da queste parti sappiamo che non possiamo aspettarci troppo. Il piatto migliore è il taco con il pesce, i gamberi o l'aragosta.
Dopo due settimane ce ne andiamo da Long Island con un aereo più piccolo ancora di quello utilizzato all’andata; il pilota seleziona personalmente i passeggeri, distribuendoli nell’abitacolo per bilanciare il peso: prima i più voluminosi, e non deve essere un’operazione da svolgere facendosi scrupoli di delicatezza e timor d’offendere l’amor proprio degli invitati a prender posto, ed ultimi noi che finiamo in una specie di bagagliaio con il palo di sostegno reggicoda dell’aereo in mezzo alle gambe e così inizia l’odissea del ritorno, che si protrae ulteriormente per un ritardo del volo Miami-Madrid che ci fa perdere la coincidenza per Milano… Abbiamo volato quattro volte con Iberia e tre di queste ci è successo lo stesso inconveniente, per il quale, questa volta decidiamo di richiedere un rimborso…
Lasciamo Long Island anche con un bagaglio di emozioni vivissime nel cuore e la consapevolezza, nella mente e nel ricordo, di avere visitato un’isola stupenda e, sicuramente, uno dei posti al mondo con il mare più bello, e con il ricordo di un luogo in cui si vive in perfetta armonia, ci si saluta sempre con tutti, sorridendo e facendo svariate tipologie di gesti, dove c'è solamente la consapevolezza di essere umani, piccoli di fronte all'immensità dell'universo, ed il rispetto per la natura che può essere prodigiosa e benevola, ma anche crudelmente devastante.