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giovedì 30 giugno 2011

Los Roques


Dicembre 2004
Voliamo con Alitalia ad un prezzo stracciato, 440 euro, su Caracas. E’ necessario fermarsi a dormire una notte in città perché i voli per Los Roques partono solo la mattina seguente. L’unica alternativa per evitare il pernottamento forzato è prendere un volo Airfrance che, se puntuale, consente di partire in giornata per Los Roques.
Le posadas  a Los Roques sono quasi tutte a gestione italiana ed estremamente care. Ne troviamo una con proprietari venezuelani decisamente più conveniente Posada Eva http://www.posadaseva.com.ve/ che contattiamo tramite email posadaseva@hotmail.com.
Il prezzo è di 35Usd a testa in mezza pensione al giorno, ma visto che ci fermiamo 2 settimane ci fanno uno sconto. Dobbiamo pagare con bonifico una caparra perché non accettano carte di credito e paghiamo il saldo all’arrivo. Ci organizzano anche il pernottamento a Caracas, i voli interni e i trasporti da e per l’aeroporto.
Il tizio della posada ci consiglia di cambiare solo 100,00 Usd all’ufficio dell’American Express in aeroporto e poi cambiare il resto da Posada Eva. Noi preferiamo cambiare tutto quello che ci serve in bolivares da un facchino dell’aeroporto. Teniamo anche qualche dollaro per alcuni scambi, in cui la moneta americana è più apprezzata.
Dopo un volo che ci fa chiudere definitivamente i rapporti con Alitalia, all’arrivo ci attende un’auto che ci porta alla Posada Il Prezzano, che si trova in un quartiere sul mare, Catia La Mar. La stanza fa schifo e c’è l’aria condizionata a palla che non possiamo regolare.
La mattina il volo per Los Roques è alle 6.30 con Transaven Airlines. Ci sono anche altre compagnie che volano su Los Roques e la situazione è un po’ caotica. Veniamo imbarcati su un aeroplano a 8 posti (a quanto pare privato). Un motore sembra non avere intenzione di far girare l’elica, scende il pilota e con un giro di molla o di elastico ci dà speranze di partenza. Il finestrino del pilota è tipo quello di una Renault 4 e lo tiene aperto anche in volo. Una mosca ci infastidisce per tutto il viaggio, di circa un’ora.
L’arrivo su una pista di terra è interessante. Non c’è nessuno che ci aspetta al baracchino degli arrivi e andiamo a piedi alla ricerca della posada. Capiamo subito che Gran Roque, su cui ci troviamo e su cui si trovano quasi tutte le posadas, è solo il punto di partenza per raggiungere le isole più belle.
La posada è carina, ma spartana. La stanza è piccola, c’è solo acqua fredda e la sera ci portano una bottiglia d’acqua per lavarci i denti perché dopo le 23 l’acqua della cisterna finisce.  Ci sono anche dei bagni e docce a pagamento per chi campeggia sulla spiaggia antistante.
Le cene si assomigliano tutte con pescado del dia e la strana idea di dar da bere sempre tè freddo, ma non ci lamentiamo.
I tempi della colazione sarebbero quelli venezuelani, ma riusciamo ad anticipare l’orario della colazione e anche gli altri ospiti si uniscono a noi. In questo modo è possibile partire in barca per le isole vicine ad un orario decente.
Saltiamo praticamente sempre il pranzo. Il supermercato (si fa per dire) dell’isola è un cesso. Ci sono pochi prodotti, la frutta è semimarcia e quindi acquistiamo solo biscotti, crackers e patatine. A Francisqui e a Crasqui c’è anche un ristorante aperto, quello su Madrizqui invece per il momento è chiuso perché, anche se tutti dicono che a Los Roques non piove mai, c’è stata una pioggia continua talmente intensa nelle due settimane precedenti il nostro arrivo che avevano pensato di chiudere l’isola!!
Il primo giorno ci facciamo convincere dalla proprietaria Eva a noleggiare da lei ombrellone e sdraio e a farci portare dal suo barcaiolo di fiducia, un certo Gigi, a Francisquì. Qui si può ammirare uno dei panorami marittimi più incredibili del pianeta; purtroppo nell’interno dell’isola vi è una laguna che è diventata una specie di allevamento di zanzare, che ci assalgono nonostante le quintalate di off. Scopriamo così che il nostro repellente è inutile e compriamo al ristorantino dell’isola uno spray da litro dell’off locale che si dimostrerà efficace e necessario nei giorni successivi. Fortunatamente non ci viene la dengue, che scopriamo solo più tardi essere endemica a Los Roques.
Nei giorni successivi andremo sempre al baracchino di Oscar, vicino alla pista di atterraggio degli aerei e a fianco del molo, che organizza i trasporti alle isole e noleggia l’attrezzatura. L’ombrellone è obbligatorio, la sdraio consigliata. Sono esposte le tariffe fisse per le varie isole: 4 usd per la più vicina Madrizqui, 5 per Francisqui, Fabian, Vapor e Muerto e 12 per Crasqui, che si trova a circa 30 minuti. Gli orari sono più o meno definiti. Le barche partono verso le isole fino alle 12 circa,  poi c’è un’interruzione nell’orario della siesta e vanno a riprendere i turisti dalle 16 circa in avanti.
La gita a Cayo de Agua è il must del soggiorno e costa 20 Usd. Noi andiamo con un capitano che, come meteorologo lascia molto a desiderare, ma almeno comanda bene la barca. Il giro è piuttosto lungo. Si parte con un clima piuttosto favorevole, ma la maggior parte dell’escursione confonde l’acqua delle onde con quella delle nuvole. Peccatissimo perché il sole avrebbe esaltato la meraviglia di occhi abituati, ma comunque sorpresi. La prima sosta è su un’isola dove teoricamente ci sarebbe uno snorkeling spaziale, ma non si vede tantissimo a causa della nuvolosità, poi c’è l’allevamento /centro conservativo di tartarughe ed infine lo splendido Cayo de Agua, un lembo di sabbia allungato dove il mare arriva delicato da una parte e leggermente più increspato dall’altra e, nonostante le nuvole nere sopra la testa, che smorzerebbero qualsiasi vivacità cromatica, è tutto un risplendere di bianco e verde e azzurro come se non ci fosse stato un altro luogo dove fare esperimenti su queste tinte. Tiriamo un sospiro di sollievo quando rimettiamo piede sul pontile dopo ore di mare in tempesta, con il freddo che fa tremare anche chi dovrebbe tenere saldamente il timone ed acqua che penetra da ogni direzione…
Non sono ammesse critiche a Crasquì dove si trova tutto ciò che si cerca su un’isola caraibica, in più è abbastanza lunga e dopo una bella passeggiata si arriva al vertice in cui si sono accumulate col tempo migliaia di conchiglie grosse come teste d’uomo che infatti, avendo voglia di scrivere un pezzo grindcore, si potrebbe raffrontare questa montagnola bianca ad un ossario davanti al quale passare ore a riflettere.  Oltre a Madrizqui che è la più vicina, accessibile e frequentata si può optare per soluzioni molto più coreografiche come Cayo Vapor, dove le onde si infrangono sulla barriera corallina e creano spruzzi d’acqua vaporizzata un po’ inquietanti se si pensa alla potenza dei mari, ma basta girarsi di schiena per guardare il paradiso di questa specie di parentesi graffa, che raccoglie un’equazione di beatitudine e serenità o Cayo Fabian, un placido disco di sabbia bianchissima del diametro di non più di 50 metri, circondato da un mare colorato a pastello da un bambino molto fantasioso.
Sia su Vapor sia su Fabian si è quasi sicuramente da soli e non c’è niente da fare, se non creazioni artistiche con il corallo venuto a morire. Cayo Muerto invece è più frequentato soprattutto per lo snorkeling ed è il gemello cattivo di Fabian perché è molto simile, ma il mare è più mosso e di notte viene coperto dalla marea.
Al rientro compriamo tanto rum venezuelano, che è ottimo e non solo il più famoso brand, ma anche e soprattutto il Santa Teresa. L’abbiamo capito vedendo un medico madrileno ospite della posada, che incarnava esattamente l’immagine evocata da Pepe Carvalho, berne una bottiglia a sera…

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