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domenica 9 dicembre 2012

New England + Pennsylvania



Gli obiettivi del viaggio sono due: vedere i colori del foliage del New England e il concerto di Bruce Springsteen a State College il giorno del mio compleanno.
I biglietti del concerto li compriamo agilmente su www.ticketmaster.com. Il resto del viaggio è più complesso da organizzare per la sua imprevedibilità.
Non si può mai sapere infatti dove va il foliage con esattezza. L’unica certezza è che inizia prima a nord ed alle altitudini più elevate per procedere poi verso sud e nelle zone più temperate quali le rive dei laghi.
In teoria si potrà andare sui monti del Vermont ad inizio settembre ed in novembre si troverà ancora foliage negli stati più a sud, ma il fenomeno varia anche in base alle temperature e ad altri fattori climatici ed è quindi difficile trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Il periodo da noi scelto non è l’ideale perché è già un po’ freddino per le foglie, ma dopo avere consultato tutto il possibile e immaginabile sul web sull’argomento, decidiamo che si può fare.
Il web pullula di siti sul foliage negli Stati Uniti, alcuni dei quali perfettamente inutili.
Qui ci si può fare un’idea generale
anche se il foliage più spettacolare e con i colori più vividi è sicuramente negli stati del New England: Connecticut, Maine, Massachusetts, New Hampshire, Rhode Island, Vermont.
Dal 1 settembre a fine novembre questi siti forniscono frequenti e aggiornati foliage reports
I siti del dipartimento del turismo sono utili:
e queste sono le pagine relative al foliage
http://www.depdata.ct.gov/forestry/foliage/foliagemap.htm (sito del Connecticut con mappa interattiva)

Domenica 21 ottobre 2012 partiamo con volo Swiss Air da Malpensa (prenotato tramite www.expedia.it) con cambio a Zurigo pagato 600 euro a testa. Consiglio fondamentale è di richiedere il tipo di posto che si preferisce (corridoio o finestrino) perché i posti vengono fissati dalla compagnia in base alle preferenze e il personale del check in in aeroporto non può modificarle. Così colpevoli di non avere indicato preferenze finiamo centrali nella fila centrale..
Il volo per boston è piacevole, la ristorazione di buon livello, le 8 ore scarse di volo passano in scioltezza e le pratiche di immigrazione sono meno impegnative e ci si sente meno indesiderati del solito.
Il mezzo migliore per raggiungere il centro è sicuramente il trasporto pubblico (che noi utilizzeremo al ritorno).
Ci sono tre alternative di trasporto pubblico per il centro:
1) prendere il Silver line bus rapid transit fino alla fermata della metro di South Station dove si prende la connessione con la linea rossa o con il commuter rail ed è la migliore opzione per raggiungere le zone di:
• Cambridge
• Downtown Boston
• Harvard University
• Massachusetts General Hospital
• MIT
La silver line ha punti di salita e discesa direttamente di fronte ad ogni terminal dell’aeroporto e I biglietti si possono comprare alle macchinette dentro e fuori dal terminal.
2) utilizzare il free mas sport shuttle bus (route n. 22,33, 55 per la MTBA Blue line) fuori dai terminal fino alla stazione Airport della linea blu della metro MTBA e prendere questa fino a North station dove ci sono le connessioni con le linee verde e arancio. La linea blu funziona dalle 6 am alle 12.30 am ogni giorno.
Questo è il modo migliore per raggiungere le zone di:
• Back Bay
• Boston College
• Boston University
• Brookline
• Downtown Boston
• Fenway Park
• The Longwood Medical Area
• Newton
• Northeastern University
Invece prendiamo un taxi, perché siamo troppo stanchi. Il nostro tassista è un tipo cordiale. Apre anche il vetro antiproiettile che lo divide dai passeggeri perché capisce che non siamo pericolosi e facciamo due chiacchiere.
Abbiamo prenotato una camera da un privato tramite www.airbnb.com, dato che i prezzi di hotel e ostelli sono folli, tipo 200 euro a notte per una camera decente. Qui ne spendiamo 100 e la location merita (all’angolo tra South End e Back Bay) anche se la pulizia non è il massimo.
Sono le 10 di domenica sera ed il traffico è inesistente. Il giorno successivo avremo la conferma che la relatà non è mai troppo incasinata e le strade non sono lunghe bisce di veicoli. Ne trae vantaggio l’ossigenazione della popolazione, agevolata anche dalla frizzante brezza oceanica. Non sembra di stare in una grande cità, ma in una vivibilissima similparma ed è un piacere camminare. Il freedom trail è un percorso di visita molto affascinante, alquanto semplificato ai turisti distratti da una striscia rossa dipinta in terra che consente di addentrarsi nel cuore del centro senza tralasciare gli scorci più suggestivi. Ritiriamo la cartina con la descrizione delle attrazioni al tourist office all’interno della Old State House. Per chi è di fretta c’è un omino congelato sull’angolo che distribuisce mappe e info.
Dal Boston Common, che con  il Public Garden è un parco che dovrebbe essere preso ad esempio per dare ai cittadini dei luoghi di ritrovo all’aperto degni di essere vissuti, parte il freedom trail appunto, che conduce attraverso il centro della città oltre il Charles River fino al Bunker Hill Monument, passando per il quartiere di North End, dove l’italianità è sbandierata ai 4 venti.
La zona del Quincy Market è sicuramente la migliore per pranzare. Oltre ai locali all’interno del mercato vi sono numerosi pub e la rinomata Oyster House. E’ un po’ cara per noi ed optiamo per il pub Hennessy, che ha un’interessante lunch menu con aragoste del Maine a 10 usd. Anche la birra è buona. D’altra parte siamo in New England.
Non c’è nessun edificio particolarmente degno di nota (se non per chi è interessato alla breve storia americana). Il bello è camminare e perdersi nelle numerose zone verdi della città. Particolarmente apprezzata in una giornata di sole è la passeggiata al Christopher Columbus Park (dove sfruttiamo la wifi gratuita) e lungo il waterfront per proseguire sul Rose Kennedy Greenway. 
Meno interessante è la camminata consigliataci dal nostro ospite lungo l’esplanade sul Charles River, anche se è sicuramente un luogo piacevole per fare jogging o andare in bici d’estate. Dal centro conduce all’Harvard Bridge da cui si accede al famoso MIT. Qui a parte gli edifici del campus non c’è molto altro da fare se non sedersi una panchina ed approfittare della wifi gratuita.
Al ritorno percorriamo gli interessanti viali di Commonwealth, Marlborough, Boylston e dintorni, evitando di inoltrarci troppo nel quartiere delle residenza degli universitari al di là di Massachussetts Ave. dove assistiamo ad un arresto in diretta.
Ci piace molto Coplay Square, un luogo ideale per fermarsi ad osservare il via vai della gente del posto. Qui si trova la stupenda biblioteca comunale, con un pacifico chiostro al quale può accedere chiunque.
Ceniamo in zona, al Clery’s, un pub all’angolo tra Dartmouth e Columbus, che offre buoni piatti e ottime birre.
Dopo 3 giorni passati in città torniamo all’aeroporto per ritirare l’auto prenotata con autoeurope alla Thrifty. L’ufficio di noleggio (come quelli delle altre compagnie credo) non si trova all’interno dell’aeroporto ma a circa 4 miglia. C’è una navetta che gira continuamente i vari terminal e l’attesa è praticamente nulla. Il personale della compagnia di noleggio è molto gentile. Ci capita una Chevy Aveo. Per il noleggio dal 24 ottobre al 3 novembre 240 euro.
Non troviamo i soliti libretti dei voucher dei motel, fondamentali per risparmiare moltissimo. Li recupereremo fortunatamente nei  Visitor Center lungo la strada.
Partiamo verso nord, anche se non andremo nel Maine dove il foliage è ormai solo un ricordo mentre gli ultimi report danno buone possibilità di colori nella zona dei laghi del New Hampshire.
Il primo tratto di strada è un’autostrada a pagamento e ogni poco paghiamo 75 cent. Facciamo tappa a Portsmouth, niente più che  una cittadina carina sul mare. Il pranzo dal decantato dalla LP Geno’s è deludente.
In New Hampshire seguiamo una strada secondaria, la 153, da Sanbonrville a Conway che costeggia numerosi laghetti e regala scorci di armoniosa bellezza. L’immagine immagazzinata dalla memoria è originale e poetica, in particolare la 153 nord regala scorci di armoniosa bellezza.
Conway north è un paese vivace con molti locali e sistemazioni  per la notte. Decidiamo di sostare qui al Golden Gables Inn. Il rapporto qualità-prezzo è ottimo. Abbiamo pagato 59 usd più le tasse per una camera doppia nuova e arredata con cura, pulitissima e con un balcone con splendida vista. L'addetta alla reception era superkind.
Per la cena optiamo per il Muddy Moose dove da un momento all’altro potrebbe fare il suo ingresso un medico tra gli orsi.
Da Conway prendiamo la 112 (la famosa Kangamus Hwy) che dovrebbe essere una scenic drive eccezionale che attraversa il White Mountain National Forest. In realtà non è un gran che, anche perché non c’è una foglia sugli alberi. Il percorso dura circa un’ora. Ci sono parecchie piazzole di sosta (dove per sostare è necessario esporre un permesso che si può acquistare in vari modi, anche online) da dove partono dei camminamenti nel bosco. Il peak della giornata va a farsi benedire. Passiamo il tempo cercando in vano di adocchiare un orso che pesca nel torrente che scorre parallelo alla strada.
L’altro peak della gita di oggi sarebbe il lago Champlain con la sua strada che scorre sulle isole centrali. Anche in questo caso ci si amara la bocca e lo sguardo in una desolante sensazione di impotenza. L’unica cosa da fare è girare la bussola verso sud sperando che il bollettino del foliage stavolta abbia ragione, anche perché la zona è considerata spettacolare. In realtà non siamo molto fortunati perché il meglio è passato. Così percorriamo le strade n. 7 e 22a verso sud accompagnati da colori piuttosto spenti.
La situazione migliora sulla strada n. 4 da Fairhaven a Rutland e lungo la 30 che taglia a est da East Dorset a East Jamaica. Ci fermiamo al confine con il New Hampshire a Brattleboro, una cittadina piuttosto carina, ma preferiamo proseguire in direzione Greenfield (Ma) dove dormiamo in uno dei più scarsi Days Inn mai visti. Ci risolleva la giornata la visita al People’s pint pub dove si cena in una bella atmosfera amichevole con gente simpatica, cibi naturali e birre artigianali.
Vediamo qualche ponte coperto. Per chi è interessato i tourist office hanno cartine che indicano i nnumerosi covered bridges del Vermont. Io credo che una volta visti un paio ci si possa ritenere appagati..
Si parte da Greenfield lungo la strada n. 2, il Mohawk Trail (altra scenic drive considerata imperdibile). Purtroppo il clima non è favorevole e la strada è avvolta da un manto di nebbia che manco a Reggio Emilia 10 anni fa. Impieghiamo circa un’ora per raggiungere Williamstown, una allegra piccola città la cui vita sembra ruotare attorno all’omonimo college. Infatti dall’abbigliamento sono tutti studenti o ex studenti o molto fuori corso. Pranziamo al Purple pub in centro. Si mangia discretamente e ci sono 14 diverse spine di birre.
Proseguiamo il nostro viaggio verso sud  lungo la strada n. 7 passando per il folcloristico villaggio di Stockbridge e Great Barringhton. Cannan apre le porte del Connecticut e un po’ di colore in più sugli alberi e nel sottobosco fa ben sperare per la continuazione dell’itinerario odierno che si snoda tra Norfolk, Winsted e Torrington e la n. 202 sulle belle colline dei Litchfield. Poi ancora a sud passando per New Preston e New Milford. I paesi sono caratteristici anche se molto simili tra loro e si respira ovunque un’atmosfera pre halloween con zucche giganti e spaventapasseri ovunque. A Danbury dormiamo al Quality Inn in zona industriale.  Capiamo che qualcosa non va perché il motel è occupato quasi interamente da operai delle compagnie elettriche e nel parcheggio si sono radunati i camion con gru ponti per gli interventi di manutenzione alle linee elettriche. Accendendo la tv scopriamo che è in arrivo l’uragano Sandy, che interesserà vasta parte del nord est degli USA. Arriva la notizia che l’uragano Sandy probabilmente scasserà i maroni non poco soprattutto in Pennsylvania.
Partiamo per la Pennsylvania perché le altre opportunità di viaggio ci sono precluse. Andare a nord verso Niagara significa rischiare di incontrare tormente di neve e a sud verso il Tennessee straripamenti di fiumi. Niente Sandy ce lo beccheremo in pieno. Con questa consapevolezza partiamo verso Lancaster la terra degli Amish. Le autostrade sono molto frequentate e sembrano avere tutti una gran fretta. Non si sa se è il normale traffico della zona o se c’è gente in fase di evacuazione. A Phillisburg passiamo il confine tra NY e Pennsylvania e ci assale subito  una strana sensazione di mesta rassegnazione. Forse è il clima o forse il paesaggio lineare… tipo agro bresciano.
Decidiamo di recarci a York toccando Allentown, Reading, Ephirata e Lititz. Qui vediamo qualche carrettino di Amish con alla guida gli uomini vestiti di nero e al loro fianco le donne con le tipiche cuffiette bianche. Per il resto è campagna piuttosto piatta. L’unico interesse turistico (e pare che di bus turistici in bela stagione ne vengano parecchi) è la visita delle fattorie dove acquistare prodotti genuini. Va be!
Varcato il fiume Susqueanna arriviamo a York e ci fermiamo al Best Western … e mangiamo a Ruby Tuesday, l’ennesima catena presente negli Stati Uniti. Vogliono fare i raffinati e ricoprono di pepe qualsiasi cosa così una bistecca alla griglia diventa una semi ciofeca.
Nonostante inizi a piovere e tirare vento il giorno successivo ci mettiamo in auto, ma ci fermiamo poco dopo a Harrisburg per far passare il sabbioso. Dormiamo al Confort Inn, una delle nostre catene preferite. Un cartello inquietante ci accoglie (forniremo le colazioni calde finchè ci sarà elettricità, poi saranno succhi e muffin che abbiamo stipato in dispensa. A causa dello stop dei trasporti il personale non è pervenuto e quindi abbiate pazienza se il servizio non sarà perfetto. Siamo vicini a voi che in questo momento provante siete lontani dai vostri cari) Evviva.
Andiamo al supermercato a fianco perché capiamo che si mette male ed è meglio fare scorte di viveri. Al ritorno l’albero davanti al motel è aperto in due…
La sera passa con un po’ di black out, un vento fortissimo e qualche albero che cede, qualcuno che sale sul tetto ad inchiodare una tegola. La mattina scopriremo che in altre zone è andata molto peggio.
Da Harrisburg ci spostiamo a State College come direbbe la settimana enigmistica: la meta della nostra gita. La città è una succursale dell’università: gli abitanti sono studenti e personale delle facoltà. 38000 persone.
Ci sono molti pub. Noi ci focalizziamo sul Kildare’s che è dotato di parcheggio visto che non è proprio facile parcheggiare nel resto del paese, soprattutto free. L’ambiente è accogliente e in perfetto stile irlandese con una ventina di ottime birre alla spina.
Abbiamo prenotato una stanza al Rodeway Inn tramite hotels.com e abbiamo fatto bene perché i motel sono abbastanza frequentati.
L’impianto sportivo è impressionante e fa abbastanza ridere pensare alla differenza con il nostro paese in cui cultura e attività sportiva spesso corrono in direzioni opposte. Il Bryce Jordan Center è un palazzetto di tutto rispetto e Bruce Springsteen, come sempre, vi suona alla grande. 
Con la consapevolezza che non tutto è andato storto, torniamo in direzione Boston. Dopo aver scoperto che molta gente è ancora senza elettricità dopo 6 giorni dall’uragano e che i motel sono pieni, troviamo una costosissima camera fumatori a Southington all’Holiday Inn and suites.
Ovviamente qui non agevolano i poverini rimasti al freddo, proponendo tariffe scontate, ma aumentano i prezzo perché c’è più domanda. Solidarietà americana!?

mercoledì 12 settembre 2012

Tokyo

Novembre 2006

La meta ultima del viaggio è l’Australia, ma facciamo uno stop over di qualche giorno a Tokyo per partecipare al matrimonio di Giulio e Asami.
Prenotiamo il volo con Qantas, che consente lo stop over gratuito in varie località dell’Asia. La compagnia è ottima e parte del viaggio la voliamo con la British Airways, con scalo a Londra. Da qui il viaggio dura circa 12 ore.
Tokyo ha due areoporti: Narita, dove atterrano la maggior parte dei voli internazionali e Haneda.
Arriviamo a Narita, che si trova a più di 60 km dalla città.
Per raggiungere la città utilizziamo il treno NaritaExpress o N'EX, che arriva in molte stazioni di Tokyo, incluse Tokyo station, Shinagawa, Shibuya, Shinjuku, Ikebukuro e Yokohama. La stazione Tokyo si raggiunge in 53 minuti.
E’ un treno Japanese Railways e quindi se avete intenzione di utilizzare i treni JR per spostarvi (includono anche il famoso Shinkansen), potrebbe essere conveniente comprare in anticipo un JR Pass prima della partenza. Le modalità e i prezzi si trovano sul sito http://www.japanrailpass.net/ e la lista dei rivenditori in Italia è qui http://www.japanrailpass.net/05/en05_3.html. Dall’Italia si può acquistare online anche da questo sito http://www.jrpass.com/it.
In aeroporto presso lo sportello JR è anche possibile acquistare il pacchetto "Suica & Narita Express", che include la carta SUICA e vi fa risparmiare sul prezzo del Narita Express.
Se si alloggia nella parte nord di Tokyo è preferibile utilizzare il treno Keisei Skyliner, che ferma a Ueno e Nippori. Esistono anche delle linee normali che partono da Narita, che possono essere leggermente più economiche, ma più lente.
Interessante anche l’Airport Limousine , buon servizio di autobus, che si ferma di fronte ai maggiori hotel della città. Il prezzo è simile a quello dei treni. Può essere conveniente, a seconda di orario di arrivo e destinazione in Tokyo.
Per muoversi in città il mezzo migliore è la metropolitana, anche se i taxi hanno prezzi ragionevoli e se ne trovano dappertutto e a tutte le ore. Il vero problema è spiegare all’autista dove si vuole andare; una mappetta stampata in precedenza può essere d'aiuto. Le porte dei taxi si aprono e si chiudono automaticamente.
Ci sono anche molti autobus, anche se prenderli può essere un po’ difficile per chi non conosce il giapponese e quindi li evitiamo accuratamente.
Per muoversi a Tokyo ed evitare di fare il biglietto ogni volta, si può acquistare presso i distributori automatici di biglietti una carta ricaricabile Suica o Pasmo. La Suica si può utilizzare anche su altri treni per raggiungere località fuori Tokyo, ad esempio Osaka.
Potete utilizzare Suica e Pasmo anche per gli acquisti presso i distributori automatici, e nei negozi che offrono questo servizio, basta semplicemente appoggiare la carta al lettore quando vi viene richiesto al momento del pagamento.
La Metro di Tokyo è di proprietà di due compagnie diverse: la Tokyo Metro possiede 9 linee, mentre la Toei (controllata dalla municipalità di Tokyo) ne possiede 4. Se si transita fra una linea di una compagnia verso quella dell’altra, non si ottiene alcuno sconto di tariffa, ma bisogna pagare un nuovo biglietto intero. I prezzi dei biglietti variano sempre in funzione della tratta percorsa, quindi o si possiede un abbonamento o carta prepagata oppure bisogna comprare un nuovo biglietto ogni volta da uno dei numerosissimi distributori automatici presenti all’ingresso di ogni stazione.
Il sito delle metropolitana di Tokyo fornisce utili indicazioni in inglese ai neofiti http://www.tokyometro.jp/en/index.html.
Dormiamo all'hotel Grand City. E' un tre stelle carino e molto pulito. Le stanze sono piccolissime (come credo sia la norma in Giappone), ma la posizione è strategica vicina, alla metro di Ikebukuro, centro nevralgico dei trasporti e costa poco, circa 60 euro la doppia. La colazione non è inclusa. C’è un distributore gratuito di schifosissimo te cinese e giapponese ad ogni piano. Il bagno è dotato di water multiuso.


Se i giapponesi rimangono a bocca aperta quando vedono il primo bagno italiano della loro vita e domandano a se stessi: "Ma perché ci sono due water?”, ora tocca a noi la sorpresa e, mentre prendiamo aria ai denti, tentiamo di capire come funziona l’ingegnoso congegno, nel quale i giapponesi hanno sintetizzato il loro approccio alla vita, funzionale, veloce e discreto. Consente infatti, senza scomodarsi, di fare lavaggio ed asciugatura. Scopriamo a nostre spese che non è il caso di insaponarsi come sul bidè…
Volendo risparmiare si può dormire presso gli ostelli della catena Sakura.
Non siamo affatto preoccupati per il cibo perché, pur non essendo grandi amanti di sushi e sashimi, adoriamo ramen e udon. Nei ristoranti i camerieri sono gentilissimi, così come i commessi di qualunque negozio.
Il coperto è gratis e così l’acqua del rubinetto e l’ocha, il tè. L’ocha che viene offerto nei ristoranti varia in base alle specialità del ristorante stesso, così molti ristoranti giapponesi servono tè verde; qualche ristorante più alla moda serve tè sempre giapponesi ma non verdi; i ristoranti di soba spesso servono sobacha, ovvero un infuso di grano saraceno; al cinese c’è spesso il jasmine-cha, tè al gelsomino. Gli alcolici vengono solitamente accompagnati da qualche tsukemono, che è un cibo messo sotto sale, un po’ il corrispettivo dei nostri sottaceti e che rincara il conto di poche centinaia di yen. Di solito sono serviti in piccole ciotoe a lato della pietanza principale o come stuzzichino (a pagamento) con la birra.
A pranzo i prezzi sono quelli sulla lista, ma di sera diversi ristoranti applicano una maggiorazione del 10% (scritta in piccolo in fondo al menu).
Il ramen è costituito da spaghetti in brodo di diverso tipo: Shio significa “sale” ed è solitamente un brodo chiaro e dal sapore leggero, Shoy basato sulla salsa di soia e tipico di Tokyo, Miso con brodo a base di miso appunto e Tonkotsu brodo denso a base di maiale. I negozi di ramen tonkotsu si riconosco da lontano per l’odore intenso che emanano. Su wikipedia c’è un articolo sul ramen ricco di foto
Mangiando ramen si campa con poco. Ci sono infatti locali piccolissimi in cui si paga il ramen che si vuole ordinare ad una macchinetta esterna, si beve l’acqua messa a disposizione, gratis come al solito, e si spende una bazzecola mangiando benone. Noi siamo stati da Muteppo, fantastico negozio di ramen nascosto in una vietta 
Mangiamo udon eccezionali da Tsurutontan nel quartiere di Sinjuku.
Proviamo anche un kaiten sushi dove si possono prelevare i piattini con il sushi direttamente dalla rotaia. Ogni piattino ha un prezzo diverso, dipendente dal colore: solitamente ci sono grossi cartelli con legenda apposita. Se si vuole ordinare del sushi non disponibile al momento lo si può fare chiedendolo direttamente al cuoco oppure parlando negli appositi citofoni. Quando si ha finito di mangiare si chiama una cameriera la quale provvederà al conteggio dei piattini e rilascerà una ricevuta da portare alla cassa. I kaiten sushi sono ristoranti molto popolari per famiglie, quindi si trovano diversi tipi di prodotti non propriamente riconducibili al sushi, dalla frutta ai dolci.
Nei ristoranti sushi tradizionali invece il sushi viene richiesto al cuoco il quale lo serve direttamente sulla superficie del bancone d’innanzi al cliente.
Ci sono poche regole per mangiare il sushi. Il sushi si può prendere sia con le mani che con le bacchette. È preferibile non affogarlo nello shoyu, ma intingerne un solo lato della neta. Il nigiri sushi va mangiato in un sol boccone.
Proviamo anche nell’ordine:
- il sashimi che altro non è che pesce crudo finemente affettato (e per estensione qualsiasi cosa cruda finemente affettata), da intingere una fettina alla volta nella salsa di soia,
- lo gyudon, una ciotola di riso ricoperta di carne di manzo saltata in padella con verdure e condita da una salsa a base di shoyu (la versione con maiale è chiamata butadon) è estremamente economico, nutriente e veloce da mangiare. I negozi di gyudon sono molto diffusi, specialmente la catena Yoshinoya, con la sua inconfondibile insegna arancione.
- il tonkatsu, un filetto di maiale, impanato e fritto (se servito su una ciotola di riso assume il nome di katsudon), accompagnato da un insalata a base di cavolo. I locali che offrono tonkatsu offrono anche ebifurai, gamberoni impanati e fritti.
- gli yakitori, spiedini di pollo cotti sulla fiamma viva di fornelletti lineari a gas o brace che possono essere ordinati con salsa (tare) oppure conditi con solo sale (shio)
- gli yakigyoza (i ravioli cinesi in versione giapponese) che sono fatti bruciacchiare su una faccia fino a staccarsi dalla piastra, dopodiché viene aggiunta acqua sulla piastra stessa in modo che il resto del raviolo sia cotto al vapore. Il ripieno dei gyoza è tradizionalmente costituito da carne di maiale, cavolo e porro, ma se ne possono trovare di tutti i tipi. 
Iniziamo la visita della città da Ikebukuro, il quartiere dove alloggiamo.
Il simbolo di Ikebukuro dovrebbe essere il grande Sunshine Building, ma in realtà è il monolitico inceneritore a dominare il paesaggio. Più folkloristicamente, agli indigeni piace giocare col nome di Ikebukuro: letteralmente “ike” significa “stagno”, mentre “bukuro” significa “sporta, sacchetto”. Visto che la “sportina dello stagno” è un po’ triste, i giapponesi sfruttano l’assonanza fra la parola (sportina) e la parola (gufo) e quindi troverete parecchi gufi in giro, il più famoso dei quali è una statua situata nel sotterraneo presso l’uscita est (東口) intorno al quale i giovani si danno appuntamento.
A proposito del sotterraneo di Ikebukuro, è uno dei più grossi di Tokyo ed è facilissimo perdervisi. Questo sotterraneo unisce tutte le ferrovie e metropolitane, nonché due grandi magazzini. Le uscite maggiori sono quattro: nord (北口), ovest (西口) e Metropolitan (メトロポリタン口) su un lato e l’uscita est (東口) sull’altro. 
Vaghiamo per i due grandi magazzini, Seibu e Tobu (con gli ultimi piani occupati interamente da ristoranti), acquistiamo un ipod a prezzo superconveniente, grazie al cambio, da Biccamera, una catena di negozi dove si trova tutto per l’elettronica, riconoscibile dalla simpatica musichina spaccatimpani che ne fuoriesce.
Visitiamo anche il megacentro commerciale dello Sunshine Building, che è alto 240 metri con un punto di osservazione in cima. La sera non possiamo perderci il karaoke.
Non funziona come in Italia. Ci sono salette private con televisore e microfoni. Si paga un ingresso che può includere cibo e bevande. Il nostro ticket includa stuzzichini e birra a volontà. Meglio presentarsi a stomaco vuoto. Per chi ha consumato i dischi di tutti i gruppi rock del mondo che, almeno una volta sono venuti a suonare in questo paese e dal palco del Budokan hanno salutato il loro pubblico, è sempre stato un sogno, ora realizzabile, urlare in un microfono giapponese: “Hello Tokyoooooo!”
Il quartiere di  Shibuya è uno dei centri alla moda per giovani di Tokyo. Qui girano numerose Koga, le ragazze semi-ribelli che mostrano un’abbronzatura eccessiva, vestiti da daltoniche impazzite, tinte allucinanti e a volte anche trucco bianco (per risaltare sul nero). All’uscita della JR in Shibuya c’è la statua del cane Hachiko, il fedele cane giapponese che negli anni ‘20 e ‘30 tornava ad aspettare il padrone alla stazione nonostante questi fosse morto. La sua statua è punto di ritrovo della gioventù locale.
La piazza di fronte all’uscita di Hachiko è forse la più famosa di Tokyo, con l’immenso incrocio pedonale e i palazzi futuristici le cui finestre sono anche dei maxi-schermi.
Per gli otaku c’è anche un fornito negoziodella Mandarake (se non si ha paura ad andare 3 piani sottoterra).
Vistiamo anche Asakusa, uno dei pochi quartieri storici rimasti in Tokyo dove si può vedere qualcosa di anticamente giapponese. Per lungo tempo è stato centro di divertimenti, ma dopo la guerra è iniziato un lungo declino, ben descritto nel libro di Takeshi Kitano “Asakusa Kid”. Da Asakusa ci si può imbarcare su un battello http://www.suijobus.co.jp/ che porta ad Odaiba passando sotto diversi ponti colorati. Capitiamo qua una domenica durante una specie di sagra giapponese, o meglio una festa religiosa buddista con di bancarelle di tipici oggettini giapponesi e cibarie di ogni tipo.




 The famous golden turd in Asakusa
 
Il quartiere di Gynza non ci dice molto, è un’area commerciale di lusso, con diversi grandi magazzini, boutiques, ristoranti e caffè. Qui si trovano tuti i brand più alla moda e non fa per noi.
 


  
Non entriamo in nessun bar o cafè o simili (forse non esistono!) perché ogni poco ci sono dei superdistributori automatici di tutti i tipi di bibite fredde e calde esistenti.


Non esistono cestini per l’immondizia. A proposito è davvero impressionante, data la quantità di pedoni circolanti, non vedere a terra nemmeno una carta di caramella o una cicca di sigaretta (spiegabile dal fatto che in molte strade è vietato fumare, pena una multa salata, mentre è possibile farlo negli ambienti chiusi dotati di sistemi di areazione potentissimi). Anche noi ci adattiamo al trend, portando con noi (forse per sempre) lattine vuote e decidendo di masticare per tutto il pomeriggio una gomma che non sa di niente.
 
Ogni tanto ci prendiamo una pausa "pulizia occhiali", utilizzando apposite macchinette lavanti, asciuganti e lucidanti situate presso i negozi di ottica.

Purtroppo non riusciamo a visitare il Museo di Miyazaki, per il quale è necessario acquistare il biglietto con largo anticipo. I biglietti in Italia si possono comprare tramite http://www.jtbitaly.eu/appunti-mda.php.
Il matrimonio di Giulio e Asami viene celebrato al MeijiJingu.
E’ un tempio Shinto dedicato all’imperatore Meiji e alla moglie Shoken morti rispettivamente nel 1912 e 1914. Dopo la loro morte la gente ha voluto commemorarli donando e piantando alberi per creare questa zona boscosa di 700,000 m2 con 170.000 alberi di 245 specie.




Il tempio è affascinante e sintetizza intime riflessioni e slanci di condivisione.
Come prima cosa si fanno le prove per la cerimonia, in cui una sacerdotessa alquanto severa spiega agli invitati occidentali il comportamento da tenere durante il rito; ovviamente i più capiscono poco o niente, ma con la naturale predisposizione all’improvvisazione tipica degli italiani si riescono ad evitare figuracce, sterzando verso l’aspetto ironico e risultando simpatici. La cerimonia è solenne, ma al tempo stesso divertente, sicuramente non noiosa come la maggioranza dei matrimoni italiani. Vi sono gli strumenti musicali della tradizione ed ogni gesto riporta ad atmosfere antiche; si percepiscono la spontaneità e la sincerità nel trascinamento millenario del rito, non è un tentativo di ricreare fasulle ambientazioni o sceneggiature e tutto è assai concreto e reale, se non fosse per la massiccia presenza di "strane" persone venute da lontano, nessuno riuscirebbe a contestualizzare temporalmente l’evento. Anche il momento delle foto di gruppo si preannuncia come la rigorosa organizzazione di una importantissima operazione militare e svacca in fragorose risate anche da parte dell’inizialmente rigorosissimo colonnello-fotografo.
Al ristorante il clima si distende non poco, ma anche durante un pranzo si possono osservare nella gestualità degli impiegati del ristorante comportamenti tradizionali e l’attenersi ad un rigoroso codice. Il menù proposto è completo e raffinato, ma la vera chicca è la modalità adottata nel servire da bere, tutto e subito. In meno di 30 minuti ogni commensale si ritrova davanti un numero imprecisato di bicchieri contenenti tutte le bevande alcoliche previste dal pasto (dal vino rosso allo champagne al sake al wishky).
Così il commensale si ritrova a bere come un bufalo che attraversa una landa polverosa e finalmente giunge ad una pozza imprevista e sognata.
A questo punto i giapponesi che, inizialmente sembravano assecondare i codici di comportamento integerrimo, si comportano come bambini selvaggi a cui è stata fatta annusare la carta di un boero e si capisce che i giapponesi hanno la capacità di reggere l’alcol simile a quella di una monaca di clausura.

Blog sul libro di Giulio Motta "La tristezza del petto di pollo nipponico" http://pollonipponico.blogspot.it/
Sito dell'ente nazionale del turismo giapponese in italiano: http://www.turismo-giappone.it/.
Sito con info molto utili sulla città di Tokyo in inglese: http://www.japan-guide.com/e.