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lunedì 30 gennaio 2012

Kuala Lumpur

28-29 Dicembre 2011
Lasciamo il Myanmar con volo www.airasia.com da Yangon. Dopo 2 ore e 30 siamo all’aeroporto KLIA LCCT, dove arrivano tutti i voli di Air Asia. Il terminal è in fermento; c’è un via vai che neanche a Francoforte. Arriviamo ai banchetti della dogana e non ci sono nemmeno più i foglietti da compilare per il visto: non fa niente. Le operazione di immigrazione sono tra le più veloci mai viste.
Andare in centro dall’aeroporto LCCT è un po’ più scomodo che dall’aeroporto KLIA, dove si può prendere il KLIA Express Train che porta alla stazione KL Central in soli 28 minuti per 35 RM.
Per raggiungere il centro da LCCT è possibile utilizzare i mezzi pubblici, in particolare prendere lo shuttle bus fino a KL Central e da qui la monorotaia per raggiungere qualsiasi zona del centro. E’ molto tardi, non conosciamo la città e optiamo per il taxi. Acquistiamo il coupon (74 RM per il centro con bagaglio leggero, si paga qualcosa in più se si hanno bagagli ingombranti) all’apposito banchetto prima di uscire dall’area di arrivo. Sul piazzale è un gran casino e i mezzi di trasporto sono presi d’assalto. Individuiamo l’addetto che smista i clienti dei taxi rossi, gli altri taxi sono “indipendenti” e costano di più. Il guidatore sembra un collaudatore del circuito di Sepang e in un’oretta ci scarica davanti alla guest house The Nest http://thenestguesthouse.wordpress.com/, dove abbiamo prenotato una camera doppia standard con bagno per 99 RM al giorno (prezzo infrasettimanale). Si trova vicino alla stazione della monorotaia Raja Chulan e dietro l’hotel Istana in pieno centro. Anche se la stradina è un po’ brutta, in pochi metri si arriva nella zona più moderna della città.
E’ gestita da ragazzi gentili. Vi sono stanze di diverso prezzo e misura (la nostra è per viaggiatori con "bagaglio leggero", cioè c'è una sola mensola come appoggio in tutta la stanza). La colazione è modello faidate, il caffè e il te sono disponibili tutto il giorno, c’è la connessione internet gratuita e ci fanno stampare gratuitamente le carte d’imbarco.
La città si gira facilmente con la monorotaia che consente di vedere la città da seduti (per le corse in centro si spendono circa 1,60 RM). Ci si muove facilmente anche a piedi e camminiamo tutto il giorno, cominciando da Chinatown. Dopo aver seguito qualche indicazione della Lonely Planet capiamo che i consigli sono inutili e decidiamo di andare a naso. In piena Chinatown si trova un discreto night market (ma perché si chiamano così se sono già aperti al mattino?). Gli articoli si ripetono e i metodi di vendita pure. Molto interessante è il Central Market che si trova in un bell’edificio. Qui c’è una grandissima differenza con altre similsituazioni vissute in altre città asiatiche; gli amanti della rinfusa e del superbaratto probabilmente non si avvicinano neppure. Il posto merita una visita e, sapendo cercare, si possono trovare anche bei pezzi di artigianato a prezzi abbordabili. C’è un reparto ristorazione dove si può mangiare con tutti i tipi di appetito e papilla gustativa. Si trovano quasi tutte le cucine asiatiche, dalla malese all’indonesiana a prezzi economici. Lasciando il Central Market vale la pena fermarsi a vedere la frequentatissima Moschea Jamek, forse l’unico edificio architettonicamente interessante del centro della città. 

 Moschea Jamek

Poi ci sarebbe il mercato di Little India, ma ci arriviamo all’ora della preghiera (mezzogiorno) quando tutto si ferma e passiamo in mezzo a centinaia di uomini che srotolano i loro tappetini. La zona non è molto interessante e decidiamo di andare alle Petronas Tower.

 Petronas Tower

Il KLCC Park sotto le torri è un bel polmoncino verde con giochi e una piscina per bambini, aiuole curate e un tappeto di tartan per la corsa.

KLCC Park

Nel parco si sta bene, nell’adiacente Suria KLCC un po’ meno; c’è un gran casino e gli stessi negozi che si trovano in tutti i centri commerciali del mondo. Ci sono poche possibilità per mangiare e bere. Per la ristorazione è meglio il centro commerciale Pavillon, che si trova vicino alla stazione della monorotaia di Raja Chulan, dove ci sono numerosi locali di cucina etnica per tutte le tasche, dai lussuosissimi del nuovo ultimo piano ai più economici del Republican Food Court al piano interrato.

 Pavillon

giovedì 12 gennaio 2012

Myanmar (Birmania)


Dicembre 2011

15 dicembre
Dopo la pausa relax a Koh Lipe prendiamo l’aereo da Langkawi per Kuala Lumpur (circa 1 ora) sempre con Air Asia. Con il taxi (sempre con voucher acquistato all’apposito banchetto all’interno dell’aeroporto per 42 RM) in circa 20 minuti raggiungiamo il B&B RumahPutih, nella zona residenziale (abbastanza di lusso) di Sepang Kota Warison. E’ meraviglioso (rinominato mansion on the hill) e sembra di essere in Cornovaglia, soprattutto grazie all’inglesissimo proprietario. L’abbiamo prenotato tramite www.agoda.it per 45 euro a notte con colazione. Li vale tutti. La stanza è perfetta e c’è una bella piscina. Inoltre è l’ideale per passare la notte in caso di stop over tra un volo e l’altro (in questa zona non lontana dagli aeroporti le strutture per dormire sono poche e costose). Inoltre per tornare all’aeroporto utilizzeremo il comodissimo bus Klia Transit per LCCT che costa 5,5 RM a persona, parte ogni mezz’ora ed in mezz’ora conduce all’aeroporto. Il proprietario del B&B ci accompagna in auto alla stazione del bus. Effettua questo servizio gratuitamente anche per chi arriva, basta fargli un colpo di telefono.
L’unico ristorante raggiungibile a piedi è indiano con declinazione, molto pittoresco, perché non assomiglia affatto ai ristoranti indiani incontrati finora; è più un incrocio tra una festa dell’Unità, un bar del Bronx e un mercato della frutta. Nell’ordinare andiamo sulla fiducia visto che il cameriere non parla inglese e mangiamo bene con un conto da pagare che fa ridere anche i polli tandoori, di 15 RM.

16 dicembre
Il volo Air Asia per Yangon (175 euro a testa a/R)  parte in perfetto orario ed è pieno di birmani e non di turisti come ci aspettavamo, considerata la condizione politica del paese. Giunti a Yangon ci aspettiamo delle lunghe formalità doganali, tra cui la dichiarazione di ogni apparecchio elettronico in nostro possesso (come indicato dalla guida Lonely Planet, che tutti i viaggiatori in Myanmar possiedono), ma non accade niente di tutto ciò e ci sbrighiamo in poco tempo. Con molto piacere ci sono due sportelli bancari (di banche private!) che cambiano dollari americani, euro e dollari di Singapore a tassi ottimi. Cambiamo alcuene banconote da 100 usd a 792 kyatt per dollaro (le banconote più piccole vengono cambiate a tassi inferiori; il motivo è un mistero, esattamente come è un mistero il perché le banconote straniere debbano essere in perfetto stato di conservazione; basta un segnetto e non vengono accettate!). Confronteremo il cambio con il cambio nero (l’unico disponibile fino a pochi mesi fa in Myanmar) e scopriremo che è migliore quello praticato dalle banche. Le stesse banche (tra cui la Asia Green Developement Bank Limited a cui ci siamo rivolti) hanno sedi anche nel centro di Yangon e Mandalay. C’è anche un banco che affitta telefoni cellulari e vende schede SIM.
Prendiamo un taxi (c’è un banchetto anche qui a tariffe fisse) per 7000 Kyatt per l’East Hotel in pieno centro (in Sule Paya Road). Anche questo prenotato tramite http://www.agoda.it/asia/myanmar/yangon/east_hotel.html, visto che non ha un sito proprio (37 euro la doppia con colazione).
Il taxi impiega almeno 45 minuti in un traffico che più caotico non si può (non è vero, sicuramente a Nuova Dehli è peggio!). L’hotel è supermoderno, il personale alla reception gentile e la stanza molto bella, con una doccia a vista vicino al letto. Le bottiglie d’acqua sono gratuite e illimitate. La cosa che ci stupisce di più è il televisore via satellite con canali stranieri, tipo CNN e BBC e la connessione internet gratuita (lentissima ovviamente) con accesso a tutti i siti che ci interessano. Insomma finora niente censura. Capiamo che qualcosa sta cambiando in meglio nel paese ed avremo conferma di ciò dalle fotografie di Aung San Suu Kyi vendute tranquillamente per strada. Evviva!!
Ceniamo al Caffè Aroma in Sule Paya vicino all’Est Hotel e ce ne pentiamo perché il rapporto qualità-prezzo è scandaloso. Diciamo che più che il cibo si pagano l’aria condizionata e il confort di un locale moderno in mezzo a tanti baracchini puzzolenti.

17 dicembre
Obiettivo della giornata è raggiungere l’agenzia Columbus Travels & Tours (Website: www.travelmyanmar.com email: columbus@mptmail.net.mm, columbus03@baganmail.net.mm) con la quale abbiamo prenotato i voli interni ed il pernottamento presso due hotel (4 voli interni, 4 notti a Mandalay e 2 notti al lago Inle pagati 866 usd, in due ovviamente). L’agenzia si è rivelata affidabile ed ha risposto alle email, mentre un’altra agenzia contattata, la Good News Travels (website: www.MyanmarGoodNewsTravel.com email:  goodnewstravels@gmail.com) altrettanto valida come organizzatore, ha avuto diversi problemi nell’invio e nella ricezione delle email. Contattare un’agenzia locale è stato l’unico modo per prenotare i voli e i due hotel. Molti hotel infatti hanno dei siti internet, ma è impossibile contattarli tramite email e telefonare è un po’ improponibile, anche perché è già faticoso capire il loro inglese dal vivo, figuriamoci via cavo!
Ci buttiamo quindi nella vita cittadina e percorriamo tutto il centro. Prima impressione: esiste al mondo una città più brutta di questa? Di quelle che abbiamo visto noi sicuramente solo Palenque in Messico potrebbe sottrarre a Yangon la palma marcita. Gli edifici fanno schifo, i marciapiedi rappresentano un’insidia unica (una persona con scarsa agilità può scordarsi di muoversi in questo luogo). Le strade si possono attraversare solamente utilizzando i rarissimi ponti oppure con la reattività di Asafa Powell, l’odore di smog si mischia a quello delle cucine da strada e delle bancarelle di frutta e verdura e a quello di tombini fognari e chiunque creda nella presenza dell’inferno potrebbe immaginare che abbia questa miscela olfattiva, tutto è incasinatissimo tanto che il mercato (solitamente luogo brulicante di attività frenetica) pare rilassante per i sensi snervati.

18 dicembre
Vistiamo la Schwedagon Pagoda (una corsa in taxi dal centro costa 1.500 Kyatt). L’ingresso (solo per gli stranieri) è di 5 usd (o 5000 kyatt, non conviene!) e non ci fanno pagare nulla per la macchina fotografica. Prima di iniziare a “scalinare” bisogna togliersi le scarpe; non sarebbe male se ci fosse il pavimento un po’ più pulito e alla fine della visita abbiamo un copertone sotto la pianta dei piedi. A parte questa considerazione da fighetti il complesso è veramente impressionante. Siamo molto fortunati perché la giornata è splendida ed il contrasto di colore fra i templi ed il cielo di sfondo ci regala immagini vivide, ma la sensazione unica riguarda la percezione di una profonda devozione e armonia spirituale; nonostante ciò la religione sembra non voler creare un clima opprimente, tutti pregano ma sanno sorridere, c’è chi pranza e chi scherza con i bambini, alcuni monaci ricevono la visita dei parenti, altri di passaggio si fanno abbracciare dal tempio della capitale, i pochissimi occidentali osservano e vengono osservati senza sospetto, magari con curiosità ed è sufficiente un accenno di predisposizione per sentirsi accettati e parte integrante di questo armonioso equilibrio… Ecco, se fosse possibile dare un volto umano alle città del mondo esse dovrebbero avere le sembianze di questo “cortile”.


 
Dopo tutta questa spiritualità si deve anche pensare alle bassezze del corpo; perciò andiamo a mangiare al Moonsoon, dove ci spariamo due piatti indonesiani di buona qualità, ma un po’ troppo cari per lo stipendio medio di un birmano e infatti ci sono solo stranieri.

19 dicembre
Prendiamo un taxi per l’aeroporto (8.000 kyatt). Invece di lasciarci al terminal nazionale ci lascia a quello dei voli internazionali. Fortunatamente distano solo 5 minuti a piedi.
Il volo Air Bagan per Mandalay è puntuale ed il servizio buono. Atterriamo dopo circa un’ora e rimpiangiamo immediatamente i prezzi dei trasporti di Yangon. Anche se il taxi per il centro costa meno del previsto (12.000 Kyatt per 1 ora e mezzo di strada) il resto è carissimo, dai trishaw (dai 1.000 Kyatt a testa per il trasporto da una via all’altra del centro) ai taxi per le escursioni in giornata (sono 40.000 kyatt per un taxi non scassato noleggiato in hotel e non se ne parla di contrattare).
Prendiamo possesso della nostra stanza all’Emeral Land Inn (40 usd la doppia con colazione) prenotato con la Columbus Travel. Chiediamo di cambiare stanza perché la standard è un po’ piccola e buia. Ce ne danno un’altra, probabilmente superior, che è più ampia e luminosa, allo stesso prezzo. L’edificio in cui si trova l’hotel è decisamente bello, soprattutto considerando il resto della città. La manutenzione lascia un po’ a desiderare. La colazione è molto buona, ma la apprezzeremo meno dopo aver visto un topolino sulla credenza della sala ristorante.
Facciamo un giro alla “memorabile” Mandalay Hill. La Lonely Planet ne fa una descrizione alquanto romantica e inverosimile; infatti non ha alcun senso venire in questo luogo, perciò strappiamo la pagina della guida e la mangiamo… Incontriamo una ragazza che parla inglese e un po’ di italiano e fa da PR al fratello possessore di una jeep e parlante solo birmano. Dopo una breve contrattazione “prenotiamo” due giorni di gite ai dintorni della città per 25.000 Kyatt al giorno. Siamo lì in cima alla collina su una panchina a gustarci la “succosa” vista della città e a riposare i piedi zozzi (in confronto, alla pagoda di Yangon era passato mastro lindo) e ad un certo punto compare un gruppo di monaci che non si sa per quale strana ragione vogliono farsi una foto insieme a noi. Sarà la prima, ma non l’ultima volta, in cui verremo avvicinati da gente del posto desiderosa di essere immortalata con noi.

Torniamo a piedi all’hotel costeggiando il Mandalay Palace. E’ bello camminare dove c’è un marciapiede, anche se i rami degli alberi sono un po’ troppo ad altezza birmano. Tutti ci salutano, dalle ragazze che escono da scuola agli anziani. Oggi è giornata di incontri particolari: prima incontriamo una delegata dell’ONU che si dice speranzosa per il futuro del paese e poi un ex dipendente dell’Unesco che conosce un po’ di italiano e ci ringrazia per essere venuti a visitare il suo paese; noi lo ringraziamo perché il suo paese ed i suoi compatrioti ci fanno sentire i benvenuti.

20 dicembre
Partiamo in gita con il nostro autista con jeep azzurra scassata per visitare Inwa (o Ava). Abbiamo scelto di raggiungerla in auto in modo da evitare di pagare il traghetto (1.000 kyatt a testa) e poi il carretto con i cavalli (4.000 Kyatt) per la visita della zona, costi necessari se si visita Inwa all’interno di un’escursione che include nella medesima giornata anche la visita di Amarapura e Sagaing (cosa che fanno quasi tutti).
Come prima tappa, prima di uscire dalla città ci fermiamo alla Mahamuni Paya. E’ considerato un importantissimo tempio buddhista ed in effetti è bello e c’è un’atmosfera particolare perché si sta celebrando la cerimonia dell’ear-boring (foratura dell’orecchio) per un gruppo di bambine. I bambini sono vestiti da piccoli principi e le ragazze elegantissime, mentre gli uomini sono impegnati a ricoprire il Buddah di lamine d’oro (in questo tempio le donne non possono avvicinarsi al Buddah) che vengono prodotte da artigiani molto pazienti che le smartellano per una giornata intera.

Dopo esserci fermati ad un laboratorio di tessuti, dove producono prevalentemente Longyi (i quadrati di tessuto utilizzati come gonne indifferentemente da donne e uomini in tutto il paese) e dove presumibilmente il nostro autista piglia una commissione sulle vendite (con noi non c’è mai un gran tornaconto!) imbocchiamo la strada per Inwa. Muoversi in auto è impegnativo perché le strade sono in condizioni mediocri, ma il vero problema è il traffico intenso e confuso che fa sì che si dilatino i tempi anche per percorrere distanze brevi. La città antica di Inwa (o Ava) è carina e vi sono alcune belle pagode e incontriamo anche due piccoletti che si vogliono fare fotografare per poi rivedersi nel display e sghignazzare, ma la cosa più interessante è osservare la vita di campagna. Ci rifiutiamo di pagare 10 usd per visitare il tempio in tek. Con poco tempo a disposizione a Mandalay questa escursione si può anche evitare, soprattutto se si ha in programma la visita di Bagan, dove di templi antichi ce ne sono 4000 (c’è chi dice 2000 e chi 10000)!

Nel rientrare a Mandalay l’auto si ferma, fortunatamente nei pressi di un rudimentale distributore di benzina (che fa rifornimento con imbuto e brocca!) e dopo un po’ di trabattamento a cofano aperto si riparte. Lungo la strada nei pressi del fiume vediamo delle persone che sventolano oggetti ai passanti; il primo ci sembra un sacchettino, il secondo uno scorpione, al terzo capiamo che si tratta di gamberi di fiume, che sono considerati una prelibatezza.
Rientrati in città ci facciamo lasciare al Golden Duck, un ristorante cinese lungo il perimetro del palazzo reale (l’unica zona decente della città), dove si mangia piuttosto bene, con porzioni abbondanti e prezzi adeguati alla qualità e una bella vista sul palazzo.
  
21 dicembre
Per il giro di oggi (Amarapura e Sagaing) noleggiamo un taxi con autista tramite la reception dell’hotel per 40.000 kyatt (abbiamo licenziato il tipo della jeep per inaffidabilità del mezzo). Il prezzo più alto è ampiamente giustificato dal fatto che l’autista è informato e parla bene l’inglese e il pulmino è seminuovo e non ci rigira le budella a ogni buca. Cominciamo la visita da Amarapura ed in particolare dalla Pahtodawgyi Pagoda, un’interessantissima pagoda in marmo bianco con belle decorazioni; vi sono scalini ripidissimi, accessibili solo ai maschi, che portano ad una terrazza con bella vista sul panorama intorno. E’ giunto l’orario per andare al Maha-Ganayon Kyaung, il monastero famoso per il pranzo dei monaci (alle 10.30) dove assistiamo appunto al pranzo, insieme probabilmente a tutti i turisti presenti in Myanmar, che ricorda la coda per la mensa del CAR; infatti i monaci con le loro ciotole in mano si mettono in coda ordinatamente in file apparentemente interminabili e si recano alla distribuzione del cibo; ci sono pentoloni giganteschi e qualche turista volenteroso collabora a riempire le scodelle.

Prima di arrivare al ponte per Sagaing ci fermiamo ad una pagoda sul fiume, con una scalinata che porta ad un punto d’osservazione molto suggestivo sulla collina in riva opposta. Purtroppo la luce non consente inquadrature altrettanto belle. Attraversiamo il ponte nuovo inaugurato nel 2010 (il vecchio, costruito dagli inglesi, è ancora agibile) e ci troviamo nel comune di Sagaing; visitiamo la Kaunghmudaw Paya che è veramente bellissima: ha una base bianca, mentre la parte superiore è un’enorme castagna d’oro e tutt’attorno c’è una recinzione a “paletti” di pietra bianchi e, più a largo raggio, una marea di banchetti che vendono un po’ di tutto, ma in particolare tronchetti di legno di sandalo che le persone non utilizzano per fare il barbecue o per il caminetto, ma ne ottengono una pasta da spalmare sulla faccia per proteggere la pelle dai raggi del sole.

Ci spostiamo fino ad una scalinata che conduce ad un’altra pagoda degna di nota: la Umin Thounzeh (45 Buddha) che si trova in posizione privilegiata e dall’alto è possibile riconoscere, tra la vegetazione, i luoghi visitati in precedenza e scoprire quante altre architetture potrebbero essere ammirate, avendo più tempo. L’ultima tappa in questa città è rappresentata dalla sommità della collina dove troneggia la Soon U Ponya Shin Paya; qui il paesaggio è mozzafiato e vi è una moltitudine di possibilità per scattare belle fotografie, sia per la natura sia per gli edifici. 

Ormai abbiamo capito che il Buddha con le lucine intorno ottiene un gran riscontro e che ai monaci piace farsi fotografare con chi sta scrivendo questo racconto (il che la dice lunga sul buon gusto che impera da queste parti). Ci è venuta fame e, non avendo alcuna indicazione su questa zona, ci facciamo consigliare dal nostro conduttore, che però stavolta toppa di brutto, portandoci al ristorante dell’unico hotel di Sagaing, l’Happy Hotel. Sarebbe stato meglio prendere qualcosa alle bancarelle, sia per lo stomaco sia per il portafogli. La giornata si chiude in bellezza andando a godersi la cosa forse più particolare e memorabile: il ponte sul lago Taungthaman (U Bein’s Bridge), fatto di pioli ed assi su cui transita una quantità impressionante di gente, ed è molto affascinante osservare quanta operosità possa produrre questa zona, perché oltre al viavai sopra la passerella, sotto vi sono contadini, pescatori, ristoratori, barcaioli, venditori che si danno da fare per garantire alla propria famiglia una vita dignitosa. E’ bellissimo vedere che vengono usate metodologie ormai scomparse da noi, tipo l’aratro con i buoi ed i metodi più svariati per la pesca. 





22 dicembre
Si va a Mingun, perciò bisogna essere al porto per le 9.00: lasciamo l’albergo con trishaw verso le 8.30 e fa abbastanza freddo. Per salire sul traghetto bisogna fare il biglietto (5.000 Kyats a persona) in una biglietteria piuttosto buffa. Anche qui ci sono molti viaggiatori; pensavamo di salire su un ferry utilizzato soprattutto da locali invece siamo tutti occidentali. La traversata dura un’ora ad andare (controcorrente) e circa quaranta minuti a tornare. Sembra un po’ di essere sulla motonave Stradivari, ma il viaggio è piacevole e rilassante e si può osservare ancora uno scorcio di vita sul fiume. Si sbarca su una spiaggia dove sono appostati molti carretti trainati da buoi, alcuni passeggeri ne approfittano, noi preferiamo camminare cercando di non pestare i residui di scarico dei mezzi. Incontriamo subito la Pondaw Paya, una bella costruzione bianca con decorazioni interessanti, in splendida posizione. Più internamente si può ammirare la gigantesca Mingun Paya, un progetto forse un po’ troppo ambizioso, infatti non è mai stata completata ed il tempo ed il terremoto ne hanno segnato la compattezza. Se si vuole salire sulla sommità bisogna pagare 3 usd (per il biglietto di visita Sagaing-Mingun, che finora nessuno ci aveva né tentato di vendere né richiesto) e tenere in considerazione che i gradini sono molto alti e che l’ultimo tratto comporta anche abilità da freeclimber (soprattutto per accedere alla parte posteriore del tetto e ci sono dei ragazzi del luogo che danno una mano ai meno abili). Dall’alto si apre lo sguardo su tutto il panorama sottostante e da lì riusciamo ad individuare il nostro prossimo obiettivo: la bellissima Mya Thein Dan Pagoda – Hsin Phyu Shin Ceti. Qui si può salire alle terrazze superiori (non c’è divieto per le donne) ed ammirare le moltissime statue del Buddha. Nel paese ci sono moltissime bancarelle per rifocillarsi e per fare acquisti: belli alcuni tessuti ed i cappelli di bambù.



Alle 13.00 il battello fa ritorno a Mandalay. Per pranzare ci facciamo fregare dal consigliato Lonely Planet. Lasho Lai, che costa come un ristorante di lusso ed è una specie di garage. Dovendo andare al cesso possiamo constatare con rammarico che quest’ultimo e la cucina sono praticamente adiacenti e che forse il cesso ha un’aria più raccomandabile.
Al termine della nostra permanenza a Mandalay concludiamo che quattro giorni qui sono troppi. L’ideale sarebbero due giorni e mezzo.

23 dicembre
Levataccia alle 4.30: partiamo con il buio e con il freddo del mattino mandalese. Il nostro tassista sembra Mr. Magoo, il vetro dell’auto è unto ed appannato, molti mezzi non hanno i fanali, in più ci sono delle donne che spazzano la strada stando in mezzo alle corsie; nonostante tutto ciò arriviamo sani e salvi all’aeroporto e senza aver investito nessuno. La signora dell’Emerald, visto che non abbiamo fatto colazione all’albergo, ci ha preparato dei pacchettini con un po’ di roba da mangiare e, meno male, perché il volo da Mandalay a Bagan dura talmente poco (30 minuti) che non ci danno neanche un grissino. In aeroporto paghiamo 10 usd a testa (oppure 9000 Kyats), come tassa per l’ingresso al sito di interesse culturale. La procedura del ritiro bagagli è quantomeno originale, infatti, dopo aver oltrepassato il controllo passaporti, ci si ritrova nella hall arrivi/partenze e bisogna aspettare che vengano portati uno ad uno dagli addetti… Molto divertente è la cerimonia di inaugurazione della stagione turistica, con musica e danze davanti al terminal: c’è un buffissimo elefante costituito da due persone coperte da apposito costume (ricorda parecchio la mucca di Top secret) che si muove a ritmo di suoni tribali. Il taxi per New Bagan costa 7.000 Kyats. In breve arriviamo al Kumudara Hotel dove abbiamo prenotato una stanza per 3 notti (stavolta tramite il loro sito, incredibile!). L'hotel è in posizione stupenda con vista su alcuni templi. La nostra junior suite è appena ristrutturata, grande e con un bagno moderno, pulita, con tutti i comfort e arredata con gusto. Le stanze superior invece si trovano in un edificio non ancora ristrutturato e non sembrano un buon affare, anche perchè la junior suite ci è costata solo 45 usd a notte. C'è anche una bella piscina che abbiamo utilizzato poco per il clima non troppo caldo. Inoltre è l'unico hotel della zona con connessione intenret gratuita. E’ possibile noleggiare una bicicletta per 3.000 Kyats al giorno.
Come prima visita optiamo per un giro a piedi, anche perché nei dintorni c’è una quantità di templi e monasteri impressionante; cominciamo con le sorelle Sein nyet Ama & Nyima e così raggiungiamo la strada principale che porta a Old Bagan, qui sulla sinistra si incontra il Soe Mingyi Monastery, poco più avanti sulla destra il Naga Yon Temple e, quasi di fronte, il Abe Ya Da Na Temple. La Nan Paya non dice un granché e tantomeno il Ma Nu Ha Temple, almeno da fuori.




 

24 dicembre
La vera scoperta di Bagan si fa in bicicletta perciò noleggiamo due fantastici modelli con cestino e cosa può succedere dopo nemmeno 3 km? Ecco, buchiamo… fortunatamente siamo sulla strada principale dove, poco più avanti, c’è una signora con bambino che si occupa di riparazioni. In realtà non è praticissima (l’attività è del marito) e ad un certo punto arriva un ragazzo con il motorino e ci pensa lui. Paghiamo 1.000 kyatt per la riparazione e compriamo un dipinto all’aiutante. I templi della cinta muraria di Old Bagan sono bellissimi e molto visitati; per citarne alcuni: Ananda Temple, That Byin Nyu, Shwe Gugy, sulla strada per il fiume la Maha Bodi Pagoda, mentre prendendo Anawratha Road si incontra il bel complesso (privo di visitatori, forse perché non indicato da Lonely Planet) Sin Myar Shin, dove c’è anche un grazioso giardino fiorito. Poco più avanti sulla destra c’è la strada che porta alla Shwe San Daw Paya, dalle cui terrazze si gode d’un paesaggio meraviglioso (si possono fotografare tutte le costruzioni elencate precedentemente) ed il maestoso Dhamma Yan Gyi Patho. Gli scalini sembrano stati progettati per far salire e scendere solo Jean Claude Van Damme, ma con un po’ di pazienza ci può riuscire anche un essere umano con una normale apertura d’arti. La strada che conduce a Nyaung U è molto piacevole e si incontrano altri templi importanti, come Hti Lo Minlo, U Pali Thein, Shwe Leik Too e la Shwe Zi Gon Paya con grande cupola dorata.
La gente di Bagan è abituata ad avere a che fare con i turisti, ed è un po’ più “sgamata” rispetto ai birmani incontrati finora e ci sono molti venditori che ripetono più o meno le stesse cose. Anche se non sono troppo insistenti la giornata è lunga, i templi sono moltissimi e dopo un po’ sembra il giorno della marmotta!
Molto suggestiva è la danza delle mongolfiere sulla pianura la mattina presto (dalla finestra della nostra stanza del Kumudara si ammira in pieno). Si crea una simbiosi armonica visto che le mongolfiere hanno lo stesso colore delle pagode e sembra che la terra si sia stufata di averne così tante sul suo dorso e dopo aver sbuffato forte la sua noia ne abbia fatto bolle che si sono alzate lentamente in volo per andare a riposarsi altrove.

25 dicembre
Se la camera d’aria della bici di ieri aveva un buco quella di oggi ne ha 5! Il gentilissimo “meccanico” (il solito signore con baracchino in mezzo alla campagna; forse tutti gli abitanti di Bagan hanno un baracchino come quello!) ci spiega che le bici date a noleggio sono quasi tutte cinesi e di scarsissima qualità, molto meglio le bici thailandesi (chi riconosce la differenza è bravo!) e ci fa pagare quello che vogliamo. Ce la caviamo con 2.000 kyatt, che ovviamente tratterremo sul pagamento del noleggio al Kumudara.
A parte le disavventure bi ciclistiche, anche oggi facciamo una scampagnata piacevole, anche se meno ricca di quella di ieri. Uscendo da New Bagan, imbocchiamo la strada che porta all’aeroporto e dopo circa 2 km svoltiamo a sinistra per la Dhammaya Zaka Zedi, una bellissima pagoda, molto visitata, soprattutto da birmani. La vista dalla terrazza è fantastica.
 
Procedendo sulla strada principale si incontra sulla sinistra un altro complesso molto fotogenico e, dopo circa 500 metri, si incontra una stradina asfaltata (nel primo tratto) sempre sulla sinistra, che conduce agli altri templi di interesse della zona: Pyathada Pagoda, Laymyethna Group, Tayok Gwy Paya, Tham Bu la Temple e Nanda Pyin Nya.
Rientrati a New Bagan andiamo a pranzo al Green Elephant, che non è quello sul fiume segnalato dalla Lonely Planet (quello di cui parla la guida è indicato sui cartelli come Green Elephant Riverside View Restaurant) ma si trova su Khaye Street, la strada principale. E’ ben arredato e con buona cucina e il set menu di 4.000 kyatt è curato e gustoso.

26 e 27 dicembre
Il volo da Bagan  a Heho fa scalo a Mandalay (ovviamente non è scritto da nessuna parte sul biglietto e nessuno ci ha avvisato, ma fa niente). Dura comunque meno di un’ora. Anche all’aeroporto di Heho c’è uno sportello bancario.
Abbiamo prenotato all’hotel Sky Lake sul lago a Mine Thauk e per raggiungerlo ci sveniamo.
Prima 25.000 Kyatt per il taxi fino a Nyaung Shwe (qui non c’è un banchetto ma un tipo che smista i clienti, come in stazione Termini, solo che qui le tariffe non cambiano in base alla nazionalità del turista!) e 9.000 kyatt per la barca fino all’hotel (circa mezz’ora di tragitto), da un barcaiolo da cui porta il nostro tassista.
L’hotel prenotato tramite la Columbus travel (anche perché è impossibile recapitare loro qualsiasi email) http://www.inleskylake.com/ costa 41 usd per la camera superior. Chiediamo di cambiare la stanza con una deluxe, in prima fila e con qualche spiffero in meno, che costerebbe 60 usd e ce la lasciano allo stesso prezzo. Facciamo un giretto sulle passerelle dell’hotel, molto caratteristico. Le stanze sono bungalow che affondano i pali nelle acque del lago. Il rumore delle barche a motore (stile chopper) lo rende un luogo meno tranquillo di quanto potrebbe sembrare.
I bungalow sono in legno con arredamento in legno e vimini, zanzariere sui letti (rigorosamente non matrimoniali) e bagni piuttosto igienici. Ci sono anche le immancabili bottigliette d’acqua omaggio.
Sarebbe un’ottima sistemazione se ci fosse il sole.

L’hotel organizza gite in barca prenotabili in qualsiasi momento della giornata (cioè vai lì e dici che vuoi partire e c’è sempre una barca a disposizione) a 20.000 kyatt per l’intera giornata, 15.000 kyatt per mezza giornata e anche una breve gita in canoa a remi al villaggio vicino per 3.000 kyatt.
Ma il clima fa pena e non si vede quasi la sponda del lago e fa pure un discreto frescolino (la Norvegia fa capolino nella memoria). Piove per la maggior parte del tempo e non ce la sentiamo di fare una gita in barca al freddo e al gelo.
Al trentesimo tentativo riusciamo a farci spiegare che il clima pessimo è abbastanza sporadico e sta passando una coda ciclonica che dura 48 ore (e ti pareva!).
Possiamo solo concludere che Inle poteva essere un picco di originalità, ma è stata solo un’esperienza un po’ diversa ma comunque abbastanza monotona (sul grigio).

28 dicembre
Riprendiamo mestamente la nostra barchetta sotto l’acqua e il vento freddo (fortunatamente i barcaioli forniscono ai passeggeri coperta e ombrello) e ripaghiamo ancora più mestamente i 25.000 kyatt di taxi per l’aeroporto di Heho. I voli sono tutti in ritardo (oltre alle storiche Air Bagan,, Air Mandaly e Yangon Airways,
ci sono compagnie aeree nuove come KBZ e Asian Wings). L’aeroporto è pittoresco, puzza un po’ di cesso e si può andare a venire come si vuole; alcuni vanno addirittura a fare le foto sulla pista.
Con due ore di ritardo saliamo sull’aereo, dove ci sono i più svariati tipi di bagaglio a mano, tra cui una borsa di sedano. Bah!
L’arrivo a Yangon ci riconcilia con la civilizzazione della capitale, caotica, puzzolente e asfissiante di smog, ma al contempo affettuosa ed avvolgente.
Il nostro hotel Clover, prenotato con agoda http://www.agoda.it/asia/myanmar/yangon/clover_hotel.html (30 euro la doppia con colazione) ci piace molto: la stanza è grande, pulita e arredata con mobile moderni e letti comodi. Ci sono le bottiglie d’acqua e un bollitore con caffè istantaneo e tv satellitare con molti canali stranieri. La posizione è ottima, in una zona tranquilla vicino al lago Kandawgyi. C’è anche un ristorante al 7° piano con vista spettacolare sulla Shwedagon Pagoda, ma noi non lo sappiamo e andiamo a pranzo al ristorante Dolphin, all’interno del recinto del lago, non lontano dall’hotel. E’ il classico ristorante cinese del Myanmar: prendono una palestra e ci mettono tavoli rotondi e seggioline liberty ricoperte da drappi setosi che non vengono mai cambiati. I piatti offerti non sono male, ma da lì a farli passare come i migliori ristoratori del mondo…
Il giro all’interno del parco intorno al lago è molto carino, ci sono molte varietà di piante, una quantità di corvi mostruosa, la Shwedagon Pagoda si riflette nelle torbide acque del lago e verso il tramonto una marea di coppiette popola i vialetti.

Alle due di notte ci sveglia un rumore sordo e pensiamo subito ad un terremoto, ma non c’è niente che dondoli o tremi e quindi torniamo a dormire. La mattina ci giunge una notizia sconvolgente: un’esplosione in un magazzino a 5 km da noi ha causato morti e feriti. La cosa che ci lascia perplessi è la leggerezza con cui gli abitanti a cui abbiamo chiesto notizie affrontano l’argomento: che siano abituati a ben altre sofferenze? Rimettendo le lacrime in tasca lasciamo la città e voliamo a Kuala Lumpur.

martedì 3 gennaio 2012

Koh Lipe

Come fare a buttar via 2 giorni della propria vita? Le alternative sono due: andare a lavorare o prendere un aereo per l’Asia con uno stop over di 5 ore a Dubai: la prima opzione è un investimento a fondo perduto, la seconda invece dà il suo rendimento nell’immediato ed è questo l’unico tipo di finanza che ci interessa.

Giovedì 8 dicembre 2011
La destinazione principale del viaggio è il Myanmar, ma, visto che abbiamo trovato un volo Emirates (http://www.emirates.com/it/italian/) Milano-Kuala Lumpur a prezzo stracciato (420 euro a testa) e che esistono i voli low cost di Airasia facciamo la bella pensata di passare qualche giorno al mare in Thailandia prima di tutto il resto.
Il check in online di Emirates si rivela una genialata, perché c’è una coda da morirci di vecchiaia, mentre in un paio di minuti ci togliamo l’incombenza. Il volo con stop a Dubai è piacevole grazie al miglior programma di intrattenimento in cielo possibile.
L’aeroporto di Kuala Lumpur è gigantesco e prima del ritiro bagagli abbiamo già fatto mezza maratona e preso un treno. La pratica di immigrazione è molto veloce, nonostante impronte digitali e roba simile; sarà l’efficienza degli addetti o semplicemente qui non si cerca di scoraggiare i flussi di viaggiatori, prendendoli per sfinimento (leggi USA).  Prima dell’uscita dalla zona arrivi acquistiamo un voucher per il taxi all’apposito banchetto con tariffe fisse (splendida invenzione che evita di venire fregati o perdere tempo in contrattazioni). Spendiamo 42 Ringitt (RM) per il trasporto al Tune Hotel nei pressi dell’aeroporto KLIA-LCCT (Low Cost Carrier Terminal) che dista meno di 20 km (ci arriviamo in circa 20 minuti).
Il Tune hotel www.tunehotels.com ha l’unico pregio di trovarsi vicino all’aeroporto  KLIA-LCCT da cui partono tutti i voli di AirAsia www.airasia.com visto che il nostro volo per Langkawi è praticamente all’alba. Per il resto, le camere sono piccolissime senza un qualsiasi appoggio e molto rumorose (diciamo che l’ingegnere che l’ha progettato non s’è buttato giù le ossa a studiare acustica applicata!), non tanto per il rombo degli aerei in decollo quanto per il fatto che i malesi fanno sembrare i napoletani dei morigerati dilettanti in quanto a utilizzo di clacson.
Da qui l’aeroporto si può raggiungere a piedi in un quarto d’ora, oppure si può utilizzare il pulmino dell’hotel che parte ogni 15 minuti e costa 1,5 RM a cranio.

Sabato 10 dicembre 2011
In aeroporto sembra tutto molto confuso, ma scopriamo che il caos ha un suo senso e sbrighiamo le formalità di check in in pochissimo tempo, anche perché abbiamo utilizzato anche stavolta il sistema del check in online, più veloce ed economico rispetto a quello tradizionale. Airasia ha diversi voli al giorno per l’isola malesiana di Langkawi, che è molto turistica. Noi ci andiamo solo perché da qui partono da fine ottobre a fine aprile le barche per l’isola tailandese di Koh Lipe, altrimenti raggiungibile da Koh Lanta o Pak Bara in Thailandia in tempi decisamente più lunghi.
Giunti in aeroporto acquistiamo un voucher per il taxi (al solito banchetto con i prezzi fissi, 24 RM) per il porticciolo Telaga Harbour da cui partono i cosiddetti ferry per Koh Lipe. Abbiamo prenotato tramite il sito http://telagaterminal.rezgo.com/ (andata e ritorno per 248 RM a testa). La prenotazione è fondamentale perché il ferry è in realtà una speed boat con una trentina di posti.
Alla fine scopriamo che c’è anche un reale ferry che impiega due ore invece che una e che parte dal Kuah Jetty invece che dal Telaga Harbour e costa 1100 bath invece che 1200 bath a testa e si può prenotare qui http://www.kohlipethailand.com/book_ferry_tickets.php.
Essendo Langkawi in Malesia e Koh Lipe in Tailandia ci sono operazioni doganali, in questo caso piuttosto buffe: consegniamo i passaporti alla bigliettaia che ci dice li rivedremo sull’isola. Il ferry è un motoscafo super moderno che taglia le onde con destrezza, ma il mare è sempre mare e quando è brutto fa gli scherzi e la traversata è tutt’altro che tranquilla. A Lipe non c’è pontile e il cruiser si ferma per farci salire su una long tail boat per raggiungere la rena (bagagli e passaporti arrivano in seguito, ma c’è fiducia). Le pratiche doganali si svolgono in un baracchino sulla spiaggia. Da qui a piedi in circa 10 minuti raggiungiamo il Lipe Power Beach Resort, fermandoci per cambiare i soldi in bath, sulla stradina principale dell’isola trapuntata di esercizi commerciali, denominata walking street (con tanto di insegna).
L’isola non è troppo turistica. Oltre alla walking street, ci sono solo alcune stradine sterrate, da percorrere a piedi o eventualmente con i pochi “taxi”, costituiti da motorini con carrello (una corsa 50 bath a persona). Anche i numerosi taxi boat hanno lo stesso prezzo. La gente dell’isola si sposta anche in scooter (ce ne sono un po’ troppi) e non se ne comprende la necessità visto che l’isola si percorre da parte a parte a piedi in 20 minuti. Qui la mappa http://www.kohlipethailand.com/maps.php. Lo stesso sito consente di prenotare molte delle sistemazioni sull’isola e fornisce informazioni utili.
Noi abbiamo prenotato il Lipe Power Beach Resort tramite www.agoda.it, per 208 euro per 5 notti con colazione inclusa. E’ un’ottima offerta, considerando la qualità della struttura e i prezzi di Lipe, che sono più alti rispetto ad altri posti della Thailandia. Sull’isola si può anche spendere più del doppio nelle poche strutture di lusso, ma anche molto meno (solo 400 bath - 10 euro per un bungalow senza bagno). Il nostro resort è costituito da bungalows con verandine, ben arredati e con letti grandi e confortevoli. C’è anche una piccola piscina, inutile visto il mare. Lo staff è estremamente gentile ed il ristorante è piuttosto buono. Ci piacerebbe cenare sempre qui ma il vento la sera è molto forte, i piatti si raffreddano subito e il brodo vola.
 Lipe Power Beach Resort

La spiaggia su cui ci troviamo, Sunrise beach, è molto bella: la sabbia è bianchissima, il colore del mare incantevole e i due isolotti di fronte (Kra e Usen) danno un tocco paradisiaco-tropicale. Se non fosse per le tante long-tail boats sarebbe proprio uno scenario mozzafiato. Si rivelerà comunque la scelta ideale su un’isola che ha tre spiagge principali: Pattaya, la più frequentata e rumorosa per il via vai di barche con un rumore di sottofondo che pare di essere al Motorock; Sunset Beach, carina, ma spesso ventosa e lontana dal resto dell’isola e Sunrise appunto, meno costruita e incasinata di Pattaya, con alcune zone assolutamente isolate. La spiaggetta di Sanom è un’altra bella alternativa tranquilla, con un solo resort.
Un altro aspetto negativo di Pattaya beach, che la mattina ha un mare splendido, è l’abbassamento della marea nel pomeriggio, con presenza di un natante che scarica camionate di terra per i lavori di edilizia in corso un po’ ovunque.
Pranziamo al Gipsy, poco distante dal nostro resort sulla spiaggia; il pad thai non sarebbe male se non fosse freddo ed è confortante sapere di poter avere un pasto con birra a meno di 5 dollari.
L’acqua turchese è molto invitante e ci concediamo un bagno rilassante. L’unica nota negativa è rappresentata da alcune medusine, che si presenteranno anche in altri momenti, soprattutto nella parte centrale di Sunrise. Non provocano forti ustioni, ma sono un po’ noiose.
Il giorno successivo è nuvoloso e ne approfittiamo per camminare ed effettuare la visita completa dell’isola. L’interno ha una vegetazione lussureggiante.  Per arrivare a Sunset beach seguiamo i cartelli per il Porn resort… ogni tanto si incontrano baretti e bungolaws dall’approccio freak (questa è sicuramente la parte dell’isola dei moon party). Sunset beach è piccola e ombreggiata e vi si affacciano tre resort piuttosto spartani. Il mare è bello, nonostante le nubi, ma c’è poco spazio per sistemarsi.

 
Sunset Beach
 
Riprendendo il cammino principale verso ovest si incontra la spiaggetta, dove si è insediato il Mia Luna (scendere solo se si vuole sentire la musica techno anche al mattino), mentre oltre si trova la bella spiaggetta di Billa dove si sentono le cicale e l’acqua del mare ha un colore spaziale. C’è anche un baretto con le sdraio e i tavolini sulla sabbia, che si possono occupare anche se non si consuma niente.
Da qui con un breve cammino si riscende a Pattaya. Non ha alcun senso andare a mangiare al Daya se non si è autolesionisti. Molto meglio un panino o un pancake al Coffe House, un posticino garbato con l’arredamento colorato e buona cucina economica, appena fuori da walking street verso Sunrise Beach.
Notiamo con piacere che non c’è traccia di immondizia, problema che è stato segnalato da molti negli anni scorsi e che è evidentemente stato risolto e c’è anche una “centrale energetica” con pannelli solari.
La mattina seguente riusciamo a stare abbastanza tranquilli su Pattaya (il colore del mare è incredibile) e poi ci spostiamo sulla meravigliosa Sanom beach, che si raggiunge dall’estremità ovest di Pattaya con una passerella in legno sugli scogli.


Pattaya Beach 
C’è un solo resort, il Sanom appunto, e sembra di fare il bagno in un lattementa tiepido. 
  
 
Sanom Beach

Dopo aver incamerato in memoria cerebrale (purtroppo labile) ed in quella digitale (speriamo più affidabile) immagini strepitose di questo luogo incantato andiamo a pranzo all’elegante Lipe Resort, su Pattaya. Le porzioni sono un po’scarse, ma la birra costa meno che nelle bettole; c’è un tipo che in un’ora accumula una quindicina di lattine vuote e non si stacca mai dal notebook. Qui infatti, come in molti altri posti su Lipe, c’è free WiFi. E’ anche possibile collegarsi a internet in alcuni posti lungo walking street per 3 bath al minuto.
Nel pomeriggio scopriamo la punta nord dell’isola dove si trovano l’Andaman ed il Mountain Resort, quest’ultimo in posizione galattica. Qui i colori al tramonto si fanno caldi e sinuosi e il canale che separa Lipe da Adang, con le sue profondità diversificate, ipnotizza gli osservatori.

 
 Sunrise Beach

Dal Mountain Resort, camminando nell’acqua costeggiando gli scogli, si può raggiungere una bella spiaggetta molto isolata (in realtà c’è una bar ma in questo momento non sembra funzionante). La stessa spiaggia si può raggiungere in modo più impegnativo tramite una stradina polverosa (con discesa finale ardua) che si imbocca appena prima di Jack’s Jungle (sembra che vada un po’ in collina ma poi ridiscende al mare).

 Spiaggia dietro gli scogli del Mountain Resort

Ceniamo da Smile, un ristorante su walking street, con tavolini e sedie nella sabbia, e mangiamo senza infamia e senza lode a poco prezzo, come al solito. I ristoranti propongono piatti simili a prezzi simili e quasi tutti permettono di scegliere il pesce che si vuole cucinato sul BBQ.
Si sta talmente bene su Lipe che non sentiamo la necessità di fare uscite in barca alle altre isole del parco, nonostante le ottime offerte di gite giornaliere con snorkelling e pasti inclusi a 550-650 bath.
Passiamo gli ultimi 2 giorni spaparanzati sulla sabbia, nel luogo più incantevole dell’isola, la parte est di Sunrise beach nei pressi dell’Andaman resort, in assoluta tranquillità.


Sunrise Beach


15 dicembre 2011
Il check in per la speed boat alle ore 9.00 è molto agile. Veniamo riconvocati per le 10.00 e partiamo con le longtail per la piattaforma, dove è ormeggiato un motoscafo più piccolo di quello dell’andata, ma con tre motori Honda che danno l’idea di metterci un gran poco. Il mare è molto più calmo e sembra di volare e in un attimo Lipe è solo un ricordo che si fa sempre più lontano. Le operazioni doganali a Langkawi non sono più elaborate, ma stiamo più di un’ora ad aspettare i passaporti. Prendiamo un taxi a tariffa fissa 24RM per l’aeroporto e torniamo a Kuala Lumpur dove il giorno successivo ci aspetta il volo per Yangon.