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lunedì 23 maggio 2011

Thailandia

Dicembre 2007

Partiamo con volo Thai Airways prenotato tramite expedia per Krabi (con scalo a Bangkok). La compagnia è puntuale con un ottimo servizio a bordo, anche se bisogna specificare che la pista d’atterraggio di Krabi rimarrà impressa nella nostra memoria per un primo tentativo di atterraggio fallito; quando ormai le ruote avevano quasi toccato l’asfalto l’aereo ha ripreso quota, ma nulla è stato comunicato per rassicurare i passeggeri che logicamente hanno cominciato a pensare a tutto ciò che si poteva ipotizzare, palesando tali sensazioni in espressioni dei volti assai preoccupate. Comunque il secondo tentativo ha avuto maggior successo e tutti hanno tirato un bel sospiro di sollievo.
All’aeroporto di Krabi prendiamo un minivantaxi al banchetto (si può fare la prenotazione anche online http://www.krabi.com/book/taxi/) che in 20 minuti e per circa 150 bath, ci porta ad Ao Nang.
Pernottiamo all’hotel Ao Nang Sunset http://www.aonangsunset.com/, prenotato tramite www.asiarooms.com.
La stanza è molto carina e ci passiamo un’intera giornata perché piove a dirotto.
Ao Nang è un’insieme di ristoranti, negozi e agenzie che prenotano escursioni alle spiagge vicine, senza nessuna atmosfera. E’ però la base per visitare Railay Beach, che è raggiungibile con una piacevole traversata di 15 minuti in longtail boat al costo di 160 bath andata e ritorno. Basta cercare i barcaioli con le magliette verdi sul lungo mare di Ao Nang. In bassa stagione, quando il mare è molto mosso, è necessario prendere una barca al porto di Krabi, che impiega 45 minuti. La spiaggia è molto bella ed anche molto frequentata; fortunatamente c’è spazio per tutti, ma non è proprio la meta di chi vuole stare in santa pace. Chi non è mai stato in Asia rimarrà sorpreso dalla vitalità della natura, soprattutto nella varietà geologica e nella capacità della vegetazione di ricoprire, foltissima, anche le rocce apparentemente più inattaccabili. Tutto è verdissimo, quindi anche il colore del mare ne recepisce ogni tonalità e spesso, navigando sottocosta, si ha la sensazione di percorrere il corso di un fiume (meraviglioso, s’intenda) più che un braccio di mare.














Anche l’escursione a Poda e Chicken Islands è molto gettonata. Si raggiungono in 10 minuti di barca da Ao Nang.
Acquistiamo alla reception dell’hotel il biglietto del traghetto per Koh Lanta ed il transfer per il porto. Il traghetto impiega più di due ore per arrivare al porto di Lanta http://www.lantainfo.com/getting_ko_lanta_aonang.htm.
L’alternativa di poco più breve è il traghetto che parte dal porto di Krabi http://www.lantainfo.com/getting_ko_lanta_krabi.htm.
A Koh Lanta alloggiamo al Dream Team Beach Resort prenotato tramite http://www.sawadee.com 6800 bath per 4 notti in un Deluxe Garden View Bungalow. Siamo molto soddisfatti di questa scelta perché ci troviamo a nostro agio: la camera è semplice, ma pulita e ben tenuta, il bagno è all’aperto, nel senso che si trova sul retro del bungalow e vi è una tettoia solo sopra al W.C. e lavandino, mentre la doccia è a cielo aperto; la descrizione potrebbe riferirsi ad una situazione un po’ squallida, in realtà è veramente pittoresca ed in ogni caso nulla è improvvisato, la struttura è realizzata finemente e fare la doccia alternando l’acqua del tubo e quella delle nuvole è molto divertente. Vi è un bellissimo ristorante che prepara ottimi piatti e nei pressi si trova una fantastica piscina. Poi sono state predisposte alcune postazioni utilizzabili sia per farsi fare un massaggio sia per starsene belli comodi a mirare il tramonto.
Affittiamo uno scooter da un noleggiatore vicino all’hotel e giriamo l’isola in lungo e in largo. Koh Lanta ha una popolazione di 20.000 persone, che vivono di pesca e coltivazione della gomma oltre che di turismo.














L’isola è lunga 30 km, che si percorrono in circa un’ora. Tutte le spiagge si trovano sulla costa ovest, mentre la costa est è montuosa e ricoperta da foresta. La strada finisce all’ufficio del Ko Lanta's Marine National Park. Le spiagge sono deludenti rispetto alle immagini viste prima della partenza, soprattutto a causa del cielo nuvoloso ed il colore del mare è più grigio che blu. Sono comunque molto tranquille e discrete, in particolar modo spingendosi a sud, verso il parco nazionale, mentre PRA AE Beach, che è molto lunga, è più congeniale a chi cerca i divertimenti e la ristorazione. E’ però talmente vasta che ci si può ritagliare un po’ di solitudine. Di notevole interesse è anche la visita dell’interno dell’isola, sia per rendersi conto di come viva la maggior parte degli abitanti, sia per osservare le bellezze del paesaggio meno noto; la strada scollina più volte prima di giungere a Lanta Old Town ed offre moltissime visuali accattivanti. Ci si può fermare a pranzo in uno dei ristoranti che si trovano lungo il percorso, i prezzi sono ancora più bassi rispetto a quelli già moderati della costa, la qualità del cibo è ottima e le persone, se possibile, ancora più gentili. Si può arrivare anche fino al villaggio degli zingari del mare, che è un poco desolante, ma d’impatto.
A questo link sono descritte le 9 principali di Lanta (ovviamente le foto ingannano)














Da Lanta con traghetto andiamo a Koh Jum. Il traghetto si ferma in mare perché non esiste un porto di attracco per questo tipo di imbarcazioni e i turisti vengono fatti saltare nelle long tail boats inviate dai resort con bagagli lanciati al seguito. Abbiamo prenotato l’Andaman Beach Resort http://www.kohjumonline.com/andamanbeach.html. Sullo stesso sito si trovano tutte le sistemazioni di Koh Jum, la maggior parte delle quali si trovano lungo la stessa spiaggia. Alcune strutture sono più spartane della nostra, altre quasi di lusso.
Il nostro bungalow è in muratura, con ventilatore e c’è solo acqua fredda, anche se non si sente il bisogno di quella calda. Il ristorante non è male, soprattutto i pancake alla banana che mangiamo a colazione.














Alla sera ceniamo al nostro “resort” perché per raggiungere altri ristoranti è necessario percorrere a piedi la spiaggia nel buio pesto, ma soprattutto perché al nostro ristorante lavora come cameriera ai tavoli un trans che fa morire dal ridere. A pranzo invece ci affezioniamo al ristorante del Peace Paradise http://www.kohjumonline.com/peaceparadise.html e ai suoi spaghetti allo scoglio.
Il mare è caldo, ma i colori sono opachi. L’isola è talmente pacificante che non si sta a sottilizzare sull’estetica delle acque. Un giorno con una motoretta scurreggenta facciamo un giro nella parte sconosciuta dell’isola, almeno alla maggior parte dei turisti. In effetti non c’è granché da vedere se non giungla e qualche villaggetto di contadini.
Le giornate passano leggendo, passeggiando lungo la spiaggia e giocando a beach volley, con altri turisti, quasi tutti norvegesi.
Dopo 4 giorni a Jum il nostro itinerario prevede di visitare l’isola di Koh Libong nella speranza di vedere almeno un dugongo, ma abbiamo voglia di colori più vivaci e decidiamo di andare a Koh Phi Phi, che è troppo turistica per i nostri gusti, ma è anche l’unica nella zona con un mare caraibico.
Prenotiamo tramite l’agenzia turistica del paese (un bugigattolo) una stanza in una guest house per i successivi 3 giorni e tramite il proprietario del nostro resort il trasporto in longtail boat a Koh Phi Phi Don. Il trasferimento in barca è tranquillo e dura circa un’ora.
La posizione della guest house è a dir poco infelice. C’è da dire che quasi tutte le guest house si trovano in centro al paese, che è pieno di locali che sparano musica techno fino alle tre di notte e di ventenni completamente ubriachi. I posti per dormire al di fuori del caos sono pochi (carino ed in posizione ottima l’Andaman Beach Resort http://www.andamanbeachresort.com/). Un’altra soluzione per stare fuori dal caos sarebbe uno dei resort sulla spiaggia di Hat Laem Thong, ma le soluzioni sono più care rispetto al resto dell’isola e ogni volta che ci si vuole spostare è necessario pagare il trasporto in long tail boat, anche questo caro.
Passiamo il pomeriggio nella spiaggia principale di Hat Hin Khom, incasinata, ma bella. A una cert’ora arriva la bassa marea.














Ceniamo al Ciao Bella, ristorante scelto come Pick dalla Lonely Planet. Il posto è carino e caratteristico sulla spiaggia, ma il piatto di pesce che ci servono è immangiabile, ci lamentiamo, ma ce lo fanno pagare comunque e senza scusarsi. Probabilmente il locale è troppo frequentato e non riesce quindi a fornire un buon servizio.
Il giorno successivo dopo una camminata di 20 minuti scopriamo quella che diventerà la nostra spiaggia per il resto del soggiorno Hat Yao, una stupenda striscia di spiaggia bianca. Ci sono anche dei bungalow per fermarsi a dormire.














L’altra bella spiaggia di Koh Phi Phi Don è Ao Lo Bakao, raggiungibile solo in barca.
Scegliamo di non visitare Koh Phi Phi Leh, la più piccola delle due isola che formano Koh Phi Phi, dove si trova la famosa spiaggia di Ao Maya, quella del film The Beach, perchè l’afflusso di turisti da ogni dove (Pukhet compreso) è insostenibile.
Da Koh Phi Phi prendiamo il traghetto per Krabi http://www.phiphiferry.com/.
Taxi per l’hotel Golden Hill Hotel una DELUXE ROOM con colazione 1430 bath prenotato con http://www.hotelthailand.com/. La stanza è enorme e c’è una piscina carina.
Noleggiamo uno scooter per un giorno (200 baht) da Yellow House Internet and Tour (ci sono altri noleggiatori in zona ma i mezzi proposti hanno un aspetto poco affidabile) e partiamo per un giro della zona. La campagna è lussureggiante, il traffico inesistente e la gente ci saluta e sembra stupita dal nostro passaggio.
Visitiamo il Tiger Cave Temple (Wat Tham Suea), un centro di meditazione in posizione spettacolare nelle montagne Ao Luk Thanu. Il sanctum sanctorum si trova in una piccolo caverna circondata dalle celle dei monaci all’interno di un bosco, ben conservato. Si può raggiungere con due percorsi, uno che porta con 1200 scalini al top della collina, l’altra che prevede una camminata e la salita di 130 scalini.














Da Krabi con volo supereconomico prenotato con Air Asia (www.airasia.com) andiamo a Chang Mai.
Pernottiamo al Novotel http://www.accorhotels.com/gb/hotel-1797-mercure-chiang-mai-previously-novotel/index.shtml (costa pochissimo per un 4 stelle), che si trova a 10 minuti di cammino dal centro della città. Siamo contenti della soluzione un po’ defilata perché la zona centrale può essere molto caotica.
Noleggiamo una moto con cambio a 4 marce. Il traffico è pazzesco soprattutto lungo il ring. Man mano ci sposta verso la campagna il traffico ed il conseguente smog diminuiscono, ma non ci si può rilassare più di tanto perché i tailandesi hanno molte qualità, ma nessuno di loro vincerà mai il premio di pilota dell’anno.
In moto visitiamo il tempio Wat Prasat Doi Suthep. E’ un tempio maestoso che può essere visto da ogni punto di Chiang Mai. La strada panoramica per raggiungerlo ha molte aree dove fermarsi per ammirare il paesaggio, gli uccelli e i fiori di montagna. Si trova a 17 km dalla città in un parco nazionale.


















Visitiamo in giornata anche Lamphun, a 26 km da Chang Mai, sul fiume Khuang. L’unico motivo per visitare la cittadina è la presenza di due templi, Wat Phra That Hariphunchai e Wat Chama Thewi.














Se si ha poco tempo a disposizione è meglio evitare questa escursione e limitarsi alla visita dei numerosi templi di Chang Mai, che può essere completata in una giornata a piedi.














Da non perdere Wat Phra Singh con la caratteristica architettura Lanna, il Wat Chedi Luang dall’atmosfera rilassata e il Wat Chiang Man, il più vecchio della città. Bello e unico il Wat Phan Tao in legno tek.














Qui la descrizione di tutti i templi http://www.chiangmai1.com/chiang_mai/main_temples.shtml














Alla reception dell’hotel prenotiamo una gita al Doi Inthanon National Park http://www.chiangmai-chiangrai.com/doi_inthanon_park.html. Costa 1200 bath a testa, ma si può risparmiare affidandosi ad una delle tante agenzie della città. Le aspettative sono alte perché la solita Lonely Planet parla di panorami maestosi, cascate impressionanti ed avvistamento di animali, mentre i panorami e le cascate sono carini e di animali non si vede neanche l’ombra.


















Per mangiare ci piacciono il Riverside Bar and Restaurant http://www.theriversidechiangmai.com/ sul fiume e i ristorantini del Night Market. Qui si può trovare tutto, dalle magliette agli orologi d’oro, tutto rigorosamente taroccato ovviamente.
4 giorni sono troppi per la zona. Ne bastano 3. Infatti l’ultimo giorno non sappiamo cosa fare e contrattiamo con un tuk tuk un giro a Bo Sang, a 9 km da Chang Mai, detto anche umbrella village, e a San Kamphaeng, 5 km oltre, dove si producono capi in seta e cotone. Il guidatore ci porta a fare un giro ulteriore sempre in una zona di artigianato. A quanto pare ha un accordo con i proprietari dei negozi per cui prende una percentuale sulla base dei clienti che accompagna e alla fine ci fa uno sconto sul prezzo già basso contrattato per il giro.
Torniamo con Air Asia a Bangkok. Ci attende un autista con auto di lusso. Abbiamo prenotato il limousine service insieme all’hotel tramite www.hotelthailand.com. Costa 10 euro e ci pentiremo di non aver prenotato il transfer anche per il ritorno perché il taxi più schifoso chiede la stessa cifra.
L’hotel è il Royal Hotel, quello con la migliore qualità prezzo nella zona del Parlamento, che vogliamo visitare. L’albergo non è un gran che, come dimostrano le reviews su tripadvisor, ma la posizione è ottima














Ci immergiamo nel caldo torrido (40°) e visitiamo la stupenda area del Gran Palace dove si trova il Wat Phra Kaew, Tempio del Buddha Smeraldo. Si tratta di un complesso di magnifici templi collegati con le residenze dei Reali di Thailandia, meta di moltissimi turisti e pellegrini. L’ingresso è di 250 bath e ci sono dei controllori dell’abbigliamento all’ingresso, che forniscono scialli ed altri capi di abbigliamento a chi ha ginocchia e spalle scoperte.














Interessanti sono anche il Wat Pho, il monastero più antico della capitale, dove si trova il tempio dedicato al Buddha sdraiato (46 metri di lunghezza e 15 di altezza) ed il Wat Traimit, tempio dedicato al Buddha d'Oro.














 Facciamo anche un giro lungo Yaowarat Rd e Ratchawong Rd, la Chinatown di Bangkok, dove si trovano mercatini di ogni tipo, che si sviluppano nelle strade laterali e nei vicoli. E’ anche la zona degli alloggi più economici, ma c’è troppa confusione per i miei gusti.

New York

Maggio 2010
Al ritorno dalle Bahamas rimaniamo bloccati a New York a causa delle ceneri del vulcano islandese.
L’American Airlines si dimostra una compagnia che da tempo ha scordato il volto umano dell’azienda che invece andrebbe conservato, se non altro perché ha relazioni dirette con i clienti. Notiamo inoltre una grande disorganizzazione: a gestire una situazione d’emergenza di questa entità sono rimaste solo poche operatrici, che s’impegnano anche, ma si formano comunque code modello messicano. Ci si domanda che fine abbiano fatto gli altri addetti ai check-in, forse li avranno licenziati perché queste “operazioni di ripiego” non garantiscono un utile, non ci preoccupiamo più di tanto per loro, perché questo è il Paese delle grandi opportunità, o no?!? Non solo non forniscono voucher di sconto per hotel o pasti, ma neanche il minimo servizio di informazioni. Oltre all’A.A. bisogna specificare che tutto il terminal sembra impreparato a gestire l’ospitalità di persone bloccate qui per parecchi giorni (e non è proprio una situazione gradevole, nonostante Tom Hanks ci abbia trovato del bello…). Noi troviamo già qualcosa predisposto dalla Croce Rossa, ma alcuni francesi e belgi, che hanno radicata in loro l’esigenza di un’equità di trattamento, ci raccontano che se non fosse per loro, che hanno iniziato le rivendicazioni qualche giorno prima, resistendo anche al tentativo di sgombero da parte della polizia, non ci sarebbe neanche quel banchetto. Altri aeroporti del mondo, anche meno “evoluto”, di cui abbiamo notizia, si sono comportati con ben altro approccio, perciò sedimenta maggiormente in noi l’idea che negli USA, e forse particolarmente a NY, se crepi sul marciapiede la gente non fa altro che allungare il passo per scavalcarti meglio. Ma tralasciando il cinismo è opportuno puntualizzare che non tutti hanno la possibilità di andare a spendere degli stipendi negli hotel della città, se, magari, già hanno fatto grandi sacrifici per comprarsi il biglietto aereo per andare a trovare i parenti dall’altra parte del mondo ed, in ogni caso, mi sembra che sia il minimo dell’umanità distribuire bottiglie d’acqua e un pedazo de pan a persone vincolate in un luogo in attesa snervante.
Al ritorno scriviamo una mail di lamentele ad American Airlines e ci mandano un buono sconto di 300 usd da utilizzare entro un anno. Non ci sfiora neanche il pensiero.
Ci indirizzano al banchetto di prenotazione degli hotel (specifico che si tratta del terminal 8 perché non in tutti i terminal gli addetti sono così maleducati!) dove alla richiesta di prenotarci un motel economico in zona aeroporto ci danno la brochure di un motel, dicendoci di andare ad attendere lo shuttle gratuito nella zona dove passano i pulmini degli hotel.
Fortunatamente al nostro arrivo hanno ancora delle camere libere e, visto che sono le 5 p.m. passate, ci fanno anche lo sconto (paghiamo 120 usd). Il motel è il JFK Inn Motel http://www.jfkinn.com/. Non è il massimo, ma per una notte va più che bene. Ceniamo al vicino Marriott abbastanza bene e a prezzo basso (circa 20 $ a testa). La zona è piuttosto squallida.
Il giorno successivo, dopo aver fatto l’ennesima coda per farci imbarcare su un volo per Milano, decidiamo di fermarci a New York qualche giorno (e crepi l’avarizia!).
Dopo avere scoperto che se si vuole dormire in pieno centro, si deve stare tra la 42 sima e la 48 sima avenue, chiamo il numero verde del Best Western per prenotare una stanza al BW President vicino a Times Square. Le tariffe sono altissime, 200usd a notte più le tasse e non me la sento di prenotare. Dopo un’ora richiamo e mi propongono delle tariffe decisamente più basse 160 usd a notte. Prenoto http://bestwesternnewyork.com/hotels/best-western-plus-president-hotel-at-times-square.
Scegliamo malauguratamente di acquistare due biglietti per il centro con il New York Airport Service Express Bus. Pubblicizzano il fatto di portare la gente in qualsiasi hotel di downtown NY, ma non è così. Ti lasciano alla Grand Central Station dove si deve aspettare un altro piccolo shuttle che porta finalmente all’hotel. Nessuno sembra sapere a che ora arriverà lo shuttle e ci fanno aspettare nel mezzo del marciapiede sotto la pioggia. I guidatori inoltre sono estremamente maleducati ed il biglietto non è così economico 15 usd. Molto meglio utilizzare un’altra compagnia di shuttle tipo www.supershuttle.com.
Il modo migliore per spostarsi dall’aeroporto JFK è utilizzare l’AirTrain che collega l’aeroporto con Jamaica Station e con Howard Beach Station. A queste due stazioni ci sono degli addetti gentili in giacca rossa, che danno indicazioni. Da qui si prende la metropolitana per il centro. Il viaggio dura in totale un’ora e il costo è di 7,75 usd (che include il biglietto della metro e quello dell’airtrain che costa 5 usd). Per fare il percorso inverso dal centro, si prende la metro a Penn station. http://www.panynj.gov/airports/pdf/jfk-airtrain-brochure-italian.pdf
E’ economico e veloce, soprattutto nelle ore di punta in cui anche i taxi sono bloccati nel traffico, anche se sulla metro ad un certo punto entra uno che, dalla faccia, sembra voler tirar fuori un UZI e realizzare il suo personale “giorno di ordinaria follia”.
Arriviamo all’hotel stremati. Fortunatamente la stanza è molto bella, anche se un po’ piccola e la colazione non è inclusa e costa uno sproposito. Approfitteremo dello Starbucks all’angolo.
Da provare la Poseidon Bakery per specialità greche al 629 Ninth Aveneu, W 44th St.
La mattina seguente partiamo alla scoperta della città. C’è qualcosa di interessante da vedere in ogni quartiere. E’ molto facile orientarsi ed è un piacere girare a piedi, anche se le distanze sono lunghe.
Le attrazioni principali si trovano in Midtown, dove c’è il Madison Square Garden, e la Fifth Avenue, la principale arteria commerciale della città, Times Square circondata da teatri il Rockefeller Centre, il Radio City Music Hall, immensa sala per spettacoli e concerti, e il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite.


Anche Downtown è raggiungibile a piedi, se si ha voglia di camminare un po’. Qui si trova il Battery Park, dove rilassarsi su una panchina guardando la statua della Libertà e da qui partono i traghetti per raggiungerla, il Museo di Ellis Island, celebre ricordo dei tanti immigrati in America.

Risalendo lungo Broadway si giunge al Financial District, e Ground Zero.
A vedere Hell’s kitchen oggi ci si domanda come doveva essere qualche anno fa, quando i ragazzini giocavano in mezzo alla strada e in estate aprivano gli idranti per spruzzarsi e rinfrescarsi.
Andiamo a mangiare pesce in un caratteristico locale al South street seaport con il pier 17 Porto http://www.southstreetseaport.com/ e facciamo una passeggiata sul ponte di Broooklyn.


Ci fermiamo più volte a Bryant Park http://www.bryantpark.org/, un polmone di tranquillità giardiniera in mezzo ai grattacieli. Qui, all’ora di pranzo, si ritrovano, clima permettendo, centinaia di lavoratori degli uffici finanziari della zona: gli uomini con addosso dei completi di una taglia sbagliata e le donne che impersonano nel look una strana commistione tra una testimone di Geova e Lady Gaga. Tutti prendono posto ai tavolini o sulle panchine, i più naturisti sull’erba, e mangiano insalate ed altre chiccherie alla francese per rimanere belli sani e magri (magari un po’ affamati), ma distaccati dal luogo comune dell’americano medio appesantito, e nella posizione ideale per poter criticare la cucina inglese e canadese.


Central Park è invece il grande polmone verde della città ed anche se molto meno raffinato, è un vero piacere farvi una passeggiata. Chi vuole lasciarsi trascinare dalla classica puttanata per turisti imbesuiti può fare un giro in carrozza, il cui monopolio sembra essere in mano agli irlandesi.


Interessante e ancora poco conosciuta è la High Line Southern Terminus http://www.thehighline.org che corre lungo il Lower West Side di Manhattan; sono vecchie rotaie sopraelevate trasformate in passeggio e parco. L’High Line Park va da Gansevoort Street, nel Meatpacking District, fino alla 20th Street.
Ci fermiamo a guardare i residenti che giocano a scacchi al Bowling Green Park, dove si trova la famosa statua di bronzo del toro.
Se i residenti a volte sembrano un po’ incazzosi (discorso a parte vale per gli amichevoli italo-americani) sono anche giustificabili dalla frenesia della città, ma vista con gli occhi del visitatore sembra offrire anche buone possibilità di interazione e distrazione e si ha la sensazione che se si vive nel quartiere giusto (non necessariamente quello più lussuoso), ci si può concedere tanti di quegli svaghi da divertirsi ogni giorno dell’anno con qualcosa di diverso ed avere anche una discreta qualità della vita.
Andiamo anche a vedere due musical, che ci piacciono molto:
La cage aux folles http://www.lacage.com/
Rock of ages http://www.rockofagesmusical.com/
C’è la possibilità di acquistare con lo sconto i biglietti invenduti il giorno stesso dello spettacolo in un botteghino in pieno Times Square http://www.nytix.com/Broadway/DiscountBroadwayTickets/TKTS/.
Noi andiamo direttamente al botteghino del teatro ed otteniamo comunque lo sconto senza fare la lunga coda.
NY è stata una piacevole sorpresa e dopo 4 giorni passati a scarpinare per la città, l'incazzatura nei confronti del vulcano islandese ci è un po' passata e ripartiamo (purtroppo sempre con volo American Airlines!) più sereni di come siamo atterrati.

giovedì 19 maggio 2011

Florida


Gennaio 2009

Ritiriamo l’auto prenotata come al solito con www.autoeurope.it. e, come spesso succede negli Stati Uniti, non hanno un modello economico e ci danno una Chrysler PT Cruiser, stupenda.

All’autonoleggio cerchiamo e troviamo i giornalini contenenti i buoni sconto per i motel. Prendeteli ovunque li troviate. Di solito sono relativi alla zona in cui siete. Sono utilissimi perché prevedono sconti anche molto alti in situazioni particolari, ad esempio in determinati giorni della settimana o solo per i clienti che si presentano senza prenotazione.

Decidiamo di non visitare le Florida Keys perché durante i fine settimana l’unica strada che vi conduce è trafficatissma.
Partiamo verso la costa ovest e percorriamo il Tamiami trail (che collega Miami a Tampa). La strada è stupenda, costeggia l’Everglades National Park e non ‘è bisogno di addentrarsi nel parco con le airboat per vedere alligatori e trampolieri di ogni tipo. Ce ne sono in quantità lungo la strada e ci fermiamo decine di volte per scattare delle foto. Il periodo tra dicembre e aprile è il migliore per avvistare la fauna.








Ci fermiamo al The Gulf Coast Visitor Center, 5 miglia a sud della Highway 41 (il Tamiami Trail) sulla State Road 29, in Everglades City. Ci sono degli alligatori giganteschi a pochi metri da noi.
Ci fermiamo a dormire a Naples in uno dei tanti motel. La zona è trafficata, si procede lentamente e non c’è nulla da vedere.
Facciamo una sosta a Fort Myers, una località di villeggiatura con una lunghissima spiaggia bianca. La maggior parte degli accessi alla spiaggia sono privati. Per accedere alla spiaggia è necessario fermarsi nei parcheggino in corrispondenza delle bandiere blu bianche e gialle, che indicano gli accessi pubblici alla spiaggia.

Ne i pressi di Fort Myers ci sono Sanibel e Captiva Islands, due isolette collegate alla terraferma da un ponte (si paga un pedaggio di 6 usd). Sembrano un mondo a parte, senza condomini, ma solo villette immerse in lussureggianti giardini. Peccato che sia comunque tutto costruito e anche qui l’accesso alla spiaggia sia difficile. Quando finalmente ne raggiungiamo uno fa troppo freddo per fare una passeggiata lungo il mare. I limiti di velocità sono frustranti.


Raggiungiamo la nostra meta, Homosassa, per vedere i miei animali preferiti i manatees (lamantini) all’Homosassa Spring State Park http://www.floridastateparks.org/homosassasprings/.
L’ingresso costa 13 usd. I volontari ranger del parco sono molto gentili e ci sono 3 programmi informativi al giorno 11:30 a.m., 1:30 p.m. and 3:30 p.m. che spiegano storia e abitudini dei manati. In questa stagione si possono vedere i manati da un osservatorio sotterraneo. Non ci sono solo manati ma anche altri animali, soprattutto trampolieri e rapaci.





Dormiamo al http://www.bellaoasis.com/, a due passi dal parco. E’ carino ed economico ed il cibo è ottimo (il migliore negli Stati Uniti).
Il volo di rientro è da Orlando. Dormiamo al motel La Quinta vicino all’aeroporto. http://www.lq.com/lq/properties/propertyProfile.do?propId=171 Consigliatissimo.

domenica 15 maggio 2011

Filippine: Isole Visayas


Dicembre 2009

Volo impegnativo come al solito, all’insegna del risparmio.
Abbiamo infatti trovato un offerta molto vantaggiosa di Emirates http://www.emirates.com/it/italian/ su Hong Kong (con scalo obbligatorio a Dubai).
A Hong Kong ritiriamo i bagagli e seguiamo tutte le procedure di immigrazione, per fare poi il check in con la compagnia filippina Cebu Pacific http://www.cebupacificair.com/.
Arriviamo a Cebu e cambiamo all’aeroporto 500 euro in pesos filippini, perché i contanti sono fondamentali (il cambio oscillerà molto nelle 3 settimane successive, con un rialzo esagerato prima di Natale, che ci spiegano essere la normalità prima di periodi di festa in cui le banche sono chiuse per qualche giorno). Siamo già piuttosto stanchi, ma il viaggio non è ancora finito. Ci attende infatti un taxista inviato dal St. Bernard Beach Resort di Bantayan, la prima tappa della nostra vacanza filippina, che ci porta in 2 ore e 30 nella notte filippina (dove l’abitudine è guidare a fari spenti) al porto di Hagnaya. Il costo è di 2200 pesos fino a 5 passeggeri.


Da qui prendiamo un traghetto piuttosto sgarrupato, ma una cosa lussuosa rispetto al porto di Hagnaya, per Bantayan (170 php a cranio) di circa un’ora e all’arrivo ci attendono ancora 20 minuti di tricycle vero (a pedali) per il nostro “resort”.
Arriviamo stremati al St. Bernard Beach Resort www.bantayan.dk. Abbiamo prenotato il cottage beachfront per 1700 pesos a note con colazione. E’ il cottage più caro, ve ne sono altri carini a 900 php. Non c’è l’aria condizionata, ma sarebbe inutile. Spira infatti una brezza continua, a volte addirittura fastidiosa,  essendo il resort situato nella parte più ventosa dell’isola. La spiaggia è abbastanza brutta.
I cottage sono molto pittoreschi, tutti rotondi e diversi l’uno dall’altro e lo staff molto gentile e disponibile. Purtroppo non c’è un cuoco e sono le stesse cameriere a cucinare, con risultati piuttosto scarsi, ma a volte capita di non soffermarsi troppo sulla qualità del cibo se qualcuno ti porta in tavola un piatto accompagnato da un sorriso talmente ingenuo e sincero da essere già pietanza prelibata.
Noleggiamo uno scooter tramite le ragazze del resort, che ci viene consegnato in loco. Paghiamo 300 php per 24 ore.
Le spiagge dell’isola non sono eccezionali. L’unica veramente degna di nota è Paradise beach, con acqua limpida, bassa e caldissima, i colori sono quelli magici dei paradisi tropicali immortalati nei dipinti e nelle fotografie scattate e tenute gelosamente nel proprio album di ricordi. Per entrare si paga una tassa di circa 50 php a persona: ne vale la pena perché la spiaggia è tenuta molto bene, la sabbia è bianchissima, ci sono delle fantastiche palme ombreggianti e non si trova un mozzicone di sigaretta neanche a cercare bene.


Facciamo un giro dei villaggi dell’isola in motorino. La gente che incontriamo è povera ma allegra. Tutti, soprattutto i bambini, ci salutano. Addirittura, mentre attraversiamo un piccolo paese dell’entroterra, incontriamo al ciglio della strada principale buona parte degli abitanti riuniti a festeggiare organizzando un misero, ma pittoresco pranzo della domenica, ci invitano a fermarci con loro: è sorprendente trovare tanta generosità ed ospitalità in popolazioni così povere, mentre noi, capricciosi nipotini del benessere entriamo in crisi se dobbiamo offrire una scodella di vino ad un infreddolito…


Un luogo che merita una visita è pure l’Og tong cave beach resort perché pagando un ticket di ingresso di 90 php è possibile visitare la grotta e nuotarvi mentre i pipistrelli tentano di farvi lo scalpo, utilizzare le attrezzature dell’hotel e scendere alla spiaggia.


Dopo 4 giorni (forse troppi per l’isola, ne basterebbero 3, ma un giorno è passato dormendo per recuperare la stanchezza del viaggio) torniamo al porto di Hagnaya con il traghetto (145 php a persona), da lì ci aspetta un taxi (1200 php) per Maya prenotato tramite il Tepanee Resort, la nostra sistemazione in Malapascua, dove prenderemo la bangka per quest’isola (50 pesos).
In dicembre è sconsigliato il viaggio diretto da Bantayan a Malapascua con bangka. Alcuni ragazzi hanno tentato di farlo e hanno dovuto attraccare a metà strada perchè il mare era troppo mosso. E' più opportuno andare con il traghetto al porto di Hagnaya, andare al porto di Maya via terra e qui prendere la bangka per Malapascua. Questo è anche il metodo di gran lunga più economico. Se il porto di Hagnaya merita di essere ricordato per il suo commovente squallore, tanto da voler acquistare una maglietta da calcio di un portuale tutta unta di grasso, con la scritta Hagnaya al posto del nome, il porto di Maya è costituito da un frangiflutti di pietra dove attraccano le piccole barche che trasportano passeggeri, zaini e merci, anche infiammabili, nello stesso spazio (mi siedo su una bombola di butano e lancio lo zaino su una pila di cassette di Sprite). C’è una minuscola baracca che funge da biglietteria, ma, come in quasi tutti i porti, non si capisce ugualmente un cazzo di che barca si prenderà finché non ci si sale, ed a volte finché non s’arriva a destinazione.  
A Malapascua scegliamo di pernottare al Tepanee Resort http://www.tepanee.com/, gestito da una coppia di italiani, in un cottage con ventilatore (vi è anche l’aria condizionata, ma in questo periodo è sufficiente una pala sul soffitto) per due persone al prezzo di 40 euro a notte (godiamo di uno sconto del 10% perché siamo ancora in bassa stagione).
Il gestore si chiama Andrea e viene da Bologna e si capisce subito, osservando la struttura del resort, che ha maturato una certa esperienza nell’ambito dell’edilizia in Italia, infatti i bungalows sono molto fini, rispettano l’ambiente e mischiano con equilibrio le tradizioni locali ed un po’ di gusto architettonico italiano, c’è un’attenzione particolare alla pulizia ed eleganti sono i vialetti che attraversano l’insediamento e che conducono ad una spiaggia privata che in alcuni momenti della giornata mozza il fiato per la bellezza; infatti quando il sole getta i suoi raggi sulle acque esse prendono tutte le tonalità dello smeraldo e dell’azzurro ed invogliano al tutto pacificante. La notte ci s’addormenta con la ninna nanna dei geki e la mattina il gallo canta la sua sveglia gentile.


L’isola è piuttosto piccola, ma molto affascinante, vi è un’atmosfera assai rilassata che non viene turbata affatto dalla presenza di viaggiatori piuttosto discreti, che vengono qui soprattutto per le immersioni. Il giro a piedi impegna una mezza giornata, ma tutto dipende dal tempo che ci si ferma a giocare con i bambini che si incontrano, insegnando loro nuovi stili di tuffo o fantasiose mosse di arti marziali inventate sul momento e a chiacchierare con le persone, che sono alquanto socievoli. Non vi sono praticamente mezzi di trasporto a motore che circolano sulle strade di terra e sabbia, ad eccezione di qualche motorino, per il resto è tutto a spinta umana o animale, e qualche volta tutte e due insieme.


Si incontrano anche alcuni pescatori che tentano di vendere le perle, ne hanno di diverse qualità, ma sono quasi tutte vere ed hanno prezzi veramente eccezionali, poi dipende anche dalla conoscenza e dalla capacità di negoziazione dell’acquirente. In ogni caso si porta a casa un regalo di grande ritorno emozionale, a meno che si decida di regalarle ad una sposa, che quella al massimo ti ritorna un’ostia (in spagnolo “schiaffone”) perché si dice che portino sfiga al matrimonio. Se non si è sicurissimi della qualità è meglio chiedere ad una persona fidata, o quantomeno evitare di tirar fuori una cifra impegnativa, anche se è difficile che un filippino tenti di fare troppo il furbo sulla provenienza o sul prezzo.
Ceniamo sempre da Angelina's presso il Tepanee resort. E’ gestito da un’italiana che sa cucinare e si sente. Si mangia molto bene, anche se i prezzi sono più alti della media filippina, ma lo è anche la qualità con pasta e pane fatti in casa.
A pranzo invece ci affezioniamo a Gin Gin dove i prezzi e la qualità sono decisamente più bassi.
Dopo 4 giorni di assoluto relax a Malapascua torniamo sull’isola di Cebu con una bangka (c’è una specie di biglietteria, ma si paga direttamente al barcaiolo (75 php a persona).
All’arrivo al porto di Maya ci attende un taxista mandato da Andrea del Tepanee che ci porta a Cebu City (1400 php che dividiamo con una coppia barcellonamburghese molto simpatica), dove ci fermeremo una notte al Marriott http://www.marriott.com/hotels/travel/cebph-cebu-city-marriott-hotel/, che ci possiamo permettere per via della tariffa filippina (70 euro per la camera doppia). Decidiamo che la città non merita una visita e passiamo il pomeriggio all’adiacente megacentro commerciale Ayala. Veniamo controllati con il metal detector ogni volta che rientriamo in albergo e ci sono controlli anche all’ingresso del centro commerciale.
La mattina seguente andiamo in taxi (70 php) al porto di Cebu e ci imbarchiamo su un ferry veloce per Tagbilaran, sull’isola di Bohol. Ci sono diverse linee di ferry sulla stessa rotta, ma noi scegliamo la supercat http://www.supercat.com.ph/index.asp.
 Acquistiamo i biglietti sul posto (610 php a testa). Sono preoccupata per la traversata, che dura 1 ora e 45, ma la barca è ben bilanciata e anche se il mare è un po’ mosso dormo tutto il tempo.
A Bohol con un minivan (500 php, al ritorno prenderemo un tuk tuk, più conveniente 300php) andiamo al Panglao Regents Park Resort, prenotato tramite internet http://www.regentsparkresort.com/. L’hotel è nuovissimo. La nostra stanza (deluxe) è pulita e ben arredata, con una doccia gigante. La maggior parte delle stanze si affacciano sulla piscina che è fantastica. Le cameriere sono gentili e il cibo è buono, ma un po’ caro e con poca scelta.


Scopriamo con piacere che Panglao è più economica di quanto indicato dalla Lonely Planet. Un esempio: abbiamo affittato il motorino a 300 php al giorno, mentre la guida parla di 500 php non trattabili, ma sicuramente dipende dal fatto che non siamo proprio in piena stagione, anche se non ci aspettavamo di trovare così tanti turisti del nordeuropa, che probabilmente non vedono le Filippine come una meta avventurosa, mentre in Italia è diffusa la tendenza a considerarle punto d’approdo per gli impavidi viaggiatori.
Giriamo l’isola in lungo e in largo,  assistiamo anche ad un allenamento di galli da combattimento in mezzo alla strada.
La spiaggia principale di Panglao, Alona beach, sarebbe bella se non fosse quasi completamente occupata da bar,ristoranti e negozi. La zona all’estrema sinistra è ancora libera, ma ci sono comunque troppe barche pronte per le escursioni.
Preferiamo quindi passare i pomeriggi alla spiaggia del Bohol Beach Club http://www.boholbeachclub.com.ph/. Si paga l’ingresso: nei giorni feriali 250 php (150 spedibili in consumazioni) e nei week end 350 php (250 spendibili). C’è poca gente, quasi esclusivamente turisti coreani. Anche su questa spiaggia bianchissima, conservata con attenzione, ornata di palme dal lungo fusto, su cui spesso è annodata l’estremità di un’amaca, ci si rilassa alla grande osservando un mare che sussurra in ogni ricciolo placido d’onda la sua dolcezza avvolgente.
Prenotiamo una gita con autista al baracchino della cooperativa degli autisti di Panglao. Si trova sulla strada che scende ad Alona beach sulla destra ed ha prezzi onesti (1600 php in due). La gita è un classico: Chocolate Hills, fiume, tarsiers, farfalle, chiese, monumento a Magellano, artigianato.


Una piccola parentesi di interesse si deve aprire sulle Chocolate Hills che sono delle formazioni assolutamente uniche e meravigliose e sui tarsiers, i più piccoli primati al mondo, che vivono nascosti tra le foglie degli alberi e quando vengono scovati guardano sto spione curiosone con i loro giganteschi occhi umidi in un’espressione di sorpresa ed allo stesso tempo di richiesta di tranquillità, si arpionano con sicurezza al rametto con le ventosine e vien subito da scattare una foto veloce per non disturbare ulteriormente. Ci troviamo al tarsiers sanctuary http://www.tarsierfoundation.org/the-tarsier-sanctuary, un istituto dedicato alla protezione ed alla ricerca relativa a questi animali, ed unico posto a Bohol dove venire ad osservarli. Da evitare gli altri posti che si incontrano sull’isola dove i tarsiers vengono sfruttati e tenuti in cattività all’interno di gabbie minuscole.


Con la stessa cooperativa prenotiamo il trasporto per la tappa successiva: Anda Beach. Si trova a circa 2 ore di strada da Alona beach, in un posto sperduto (spendiamo 1600 php). L’Anda White Beach Resort http://www.andabeachresort.com/about.php è un po’ caro per gli standard filippini, 70 euro la camera doppia, ma li vale tutti, in particolare per la piscina vista mare (cioè non si capisce dove finisce la piscina e dove inizia l’acqua salata). Non c’è niente da fare, se non passeggiare sulla spiaggia bianca e poltrire in piscina. Si mangia benissimo.


Lo stesso tizio che ci ha portato qui ci viene a prendere dopo due giorni e, per 3500 php, ci conduce al porto dove partono le bangka per Cabilao, un’isoletta a 10 minuti (in un canale con mare estremamente mosso) da qui. Gli unici mezzi di trasporto sono le moto taxi, delle normali moto che possono trasportare anche 4 o 5 passeggeri. Noi saliamo ognuno su una moto con i bagagli (costo di bangka + passaggio in moto 135 php).
La Lonely Planet trae in inganno in quanto dice che quest’isola è il luogo ideale per chi ama la spiaggia tranquilla. Niente di più falso. Non c'è spiaggia decente e ci sono esclusivamente divers, perché l’unico motivo per venire qui sono le immersioni. Ci pentiamo anche della scelta della sistemazione per passare la notte, l'Estrella beach resort http://www.laestrella.ph/. Sempre la LP lo descrive come un’oasi di pace in cui viene tolta l’elettricità alle 11.30 p.m. Falso anche questo. Hanno un generatore autonomo che funziona fino alle 5 di mattina, che consente ai divers tedeschi ubriachi di ascoltare musica techno fino alle due di notte.
Disdiciamo immediatamente la prenotazione e dopo una sola notte decidiamo di tornare a Panglao per passare gli ultimi due giorni alla piscina del Panglao Regents Park Resort.
Rientriamo con volo Cebu Pacific su Manila da cui prendiamo il volo Emirates per Hong Kng. Ci sono delle tasse di espatrio da pagare all’aeroporto, 20 php a testa per partire da Bohol e 750 php per lasciare il paese.
Oltre alle perle, è possibile acquistare qualche prodotto di artigianato in legno o paglia intrecciata; non può mancare nella bisaccia al ritorno anche qualche bottiglia di Rum (meno pregiato di quello caraibico, ma assai gradevole da ingerire insieme al chinotto) ed i prodotti della Beefarm di Panglao http://www.boholbeefarm.com/.
Scopriamo di essere stati fortunati per quanto riguarda il clima, perché nelle isole Visayas la vera stagione secca sono i mesi di febbraio e marzo. La LP indica invece genericamente come stagione secca (e quindi consigliata per la visita) il periodo da dicembre ad aprile. Questo è fuorviante in quanto in dicembre può piovere moltissimo con forte vento.

mercoledì 11 maggio 2011

Stati Uniti (California, Nevada, Arizona, Utah)


Visualizzazione ingrandita della mappa

Aprile – Maggio 2008

Dopo esserci procurati cartine e brochure molto interessanti degli stati che attraverseremo tramite i siti del turismo:
abbiamo acquistato a questo link http://www.utah.com/maps/ l’utilissima National Parks Map (costa 9,95 usd), che include il sud Utah, il nord Arizona, l’east Nevada e l’ovest Colorado. Include le strade panoramiche e i punti di interesse di 8 Parchi Nazionali: Grand Canyon, Zion, Bryce Canyon, Arches, Canyonlands, Capitol Reef, Mesa Verde, e Great Basin e le cartine dei singoli parchi.
Giorno 1 e 2
Voliamo su San Francisco con KLM/Delta su un aeromobile piuttosto vecchio. A San Francisco pernottiamo al Grant hotel in Bush Street, a due passi da Union Square http://www.granthotel.net/.
I prezzi sono decisamente bassi per San Francisco e noi risparmiamo ulteriormente dormendo in una camera che è considerata singola, con un queen size bed, più piccolo del letto di una doppia normale, ma comunque comodo.  Quasi tutti gli hotel e motel hanno questo tipo di stanze anche se non vengono sempre proposte alla reception per una coppia, ma basta chiedere.
La colazione è continentale, consiste cioè in caffè americano e ciambelle, meglio di altri motel dove soggiorneremo durante il viaggio. Almeno qui ci sono dei tavolini per consumare la colazione seduti.
San Francisco è molto bella e la giriamo a piedi nonostante le ripide salite.

Meritano una visita Union Square, il Fisherman's Wharf (Pier 39 e Ghirardelli Square), dove assaggiare le specialità locali: il granchio (gigante) e la clam chowder nel pane (gigante), Telegraph Hill, la cui sommità si raggiunge attraverso più di 400 scalini, da cui si gode una bella vista della città, Lombard Street, in particolare il tratto di Russian Hill, definito la strada più tortuosa del mondo.

 

 

Chinatown è meno interessante di come viene descritta in molte guide, ma è comunque pittoresca e la zona circostante è molto bella. Consigliata una passeggiata su Columbus Avenue nel quartiere italiano, dove si trova il City Lights Bookstore, il negozio di libri indipendente fondato da Lawrence Ferlinghetti, editore di alcune opere della Beat Generation.

Il tempo a SF cambia in modo repentino e in mezz’ora la temperatura passa da 30 a 15 gradi. Ci ritroviamo congelati  in canottiera a bermuda e ci becchiamo una bronchite storica. Impariamo che a SF bisogna vestirsi a strati e, dovendo scegliere, meglio un capo pesante di uno leggero.

Ritiriamo l’auto noleggiata tramite www.autoeurope.it in centro a San Francisco. La fortuna vuole che la sede dell’autonoleggio Alamo si trovi in Bush Street di fronte al nostro hotel. Il costo del noleggio è tra i più bassi di sempre, 390 euro (è il 2008 ed il cambio è favorevole, ma è comunque pochissimo) e in mancanza di un’auto economica, cioè piccola (come spesso accade da queste parti), ci affidano una Chevrolet Impala con 3000 di cilindrata, che è molto comoda, ma inciderà negativamente sul consumo di benzina.

All’autonoleggio cerchiamo e troviamo i giornalini contenenti i buoni sconto per i motel. Prendeteli ovunque li troviate. Di solito sono relativi alla zona in cui siete. Sono utilissimi perché prevedono sconti anche molto alti in situazioni particolari, ad esempio in determinati giorni della settimana o solo per i clienti che si presentano senza prenotazione.

Uscire dalla città è incredibilmente semplice. Le strade sono tutte parallele ed il traffico è tranquillo (almeno alle 12 a.m.).

Giorno 3

Ci dirigiamo verso il Nevada e dopo 6 ore di strada alquanto noiosa ci fermiamo a dormire a Mojave, un paese costituito da motel, distributori di benzina e una base militare. Ci fermiamo al Motel 6 http://www.motel6.com/ che tra le catene di motel degli Stati Uniti è tra le più economiche. Per mangiare è aperto solo il Mac Donald dove mangiamo, chiacchierando con un militare romano sconvolto alla vista di due italiani in quel luogo assurdo.

Giorno 4

Da qui partiamo alla volta dello Zion National Park. Attraversiamo il Nevada con una sola sosta per cibarsi oltre Las Vegas. La località più vicina e più comoda per visitare il parco è Springdale, un paese carino, che ha tutte le caratteristiche delle località da cui partono le escursioni: motel (con prezzi piuttosto alti), ristoranti e negozietti ed una strada principale sui cui marciapiedi passeggiano nel tardo pomeriggio i visitatori, ostentando quella baldanzosa stanchezza da giornata intensa passata tra scarponi, zaini e borracce e cuffie di pile armadukiane. Il paese è posizionato magnificamente ed offre aperture visionarie sulle pittoresche alture circostanti.

 

 

C’è uno shuttle che trasporta i visitatori all’interno del parco e si ferma in alcuni punti strategici. Si può prendere al visitor centre del parco oppure  direttamente a Springdale ad una delle fermate previste http://www.nps.gov/zion/planyourvisit/shuttle-system.htm. E’ consigliabile scegliere questa seconda opzione nei periodi di alta stagione, quando il parcheggio del parco si riempie facilmente.

All’ingresso del parco acquistiamo il National Parks Pass, costa 80 usd, ha durata di un anno a partire dalla data di acquisto e consente l’accesso a tutti i parchi nazionali e ai siti ricreativi federali a un veicolo non commerciale, al guidatore e ad altri 3 adulti (al di sotto dei 16 anni l’ingresso è libero. E’ acquistabile in qualsiasi parco oppure online al link http://usparks.about.com/gi/o.htm?zi=1/XJ&zTi=1&sdn=usparks&cdn=travel&tm=40&f=00&tt=11&bt=1&bts=1&zu=http%3A//store.usgs.gov/pass.

E’ vantaggioso se si ha intenzione di visitare qualche parco. Non consente però l’accesso ai parchi privati.

E’ possibile pernottare all’interno del parco presso lo Zion Lodge http://www.zionlodge.com/, che contiene
anche un caffè e un ristorante con stupenda vista.

 

 

Giorno 5

A circa 20 minuti da Springdale, lungo la Highway 9 (Zion-Mt. Carmel Highway), dopo una galleria si incontra il parcheggio del Checkerboard Mesa viewpoint, una montagna segnata naturalmente da linee orizzontali e verticali di vari colori. Da qui parte una stupenda camminata, breve, ma leggermente impegnativa.

 

 

Raggiungiamo Hatch, il paese più vicino al Bryce Canyon NP, dove facciamo tappa per la notte. Ceniamo al Cafe Adobe sulla strada principale, consigliato.
Giorno 6
In 40 minuti di auto arriviamo al Bryce Canyon NP http://www.nps.gov/brca/index.htm. Il parco è visitabile in auto e ci sono molti lookout che consentono di ammirare le strane formazioni rocciose rosa chiamate hoodoos, che caratterizzano il parco. E’ la fine di aprile e sui pinnacoli c’è la neve ed anche nei punti d’ombra in cui il suo sole fatica ad elargire il suo calore. La temperatura è piuttosto bassa, mentre è molto alta la tentazione di fermarsi su una roccia ad ammirare questo spettacolo della natura, che la neve contribuisce a rendere ancora più poetico. Molti viaggiatori non si limitano ad osservare dai point of view, ma decidono di intraprendere i camminamenti che si articolano tra le guglie di roccia tentando di armonizzare completamente la loro presenza d una natura avvolgente e prodigiosa.


Ci spostiamo quindi lungo la  UT 22-N, che costeggia il Grand Staircase Escalante National Monument http://www.blm.gov/ut/st/en/fo/grand_staircase-escalante.html.

 

 

Giorno 7

Dormiamo a Torrey, un piccolo villaggio con un paio di posti per dormire e mangiare. Mangiamo al Cafè Diablo e dormiamo al Days Inn, dopo aver contrattato il prezzo. E’ molto facile infatti avere sconti se ci si presenta  dopo le 5 di pomeriggio. Anche al Capitol Reef http://www.nps.gov/care/index.htm ci sono pochi visitatori e le formazioni rocciose sono meno articolate e raffinate di altri parchi, ma di grande impatto visivo, soprattutto per i colori molto intensi, dai rossi mattone ai viola melanzana Al visitor centre ritiriamo la cartina relativa allo scenic drive di 90 minuti, che contiene le spiegazioni relative alle 11 fermate ben indicate lungo la strada.

 

 

Giorni 8-9-10

Per visitare l’Arches NP e Canyonlands il punto di partenza migliore è Moab, paese dedito al turismo, ricco di attività ricreative per tutti i gusti, posizionato in una splendida cornice naturale. Qui i week end di aprile sono da considerare altissima stagione. Arriviamo al venerdì e fatichiamo a trovare una camera libera ad un prezzo non stratosferico. Ceniamo in una microbrewery e decidiamo che è meglio acquistare il cibo al supermercato e cenare in camera nei giorni successivi.

L’Arches NP http://www.nps.gov/arch/index.htm si trova a sole 5 miglia a nord di Moab sulla strada 191 e c’è molta gente, ma la visita è obbligatoria perché è oggettivamente uno dei più belli: l’azione del vento e della sabbia nel corso dei secoli ha modellato le rocce con pazienza certosina e abilità brunellesca, lasciando l’osservatore con l’espressione ebete sul viso che si ha solo di fronte alle opere d’arte. Anche alcuni registi hanno adoperato questi scenari per dare mistero ad alcune inquadrature (e bella fatica!). Il delicate arch poi, nel suo isolamento silenzioso, sembra uscito da una poesia di William Blake o da una canzone di Tom Waits.

 

 

Visitiamo il Canyonlands NP http://www.nps.gov/cany/index.htm sempre da Moab. E’ più selvaggio degli altri parchi ed è il più vasto parco dello Utah. E’ suddiviso in tre settori: Island in the sky, il più facilmente raggiungibile con delle piacevole camminate anche per i non esperti, Needles sulla strada 211, 40 miglia a sud di Moab ed Maze, il più selvaggio e remoto, visitabile solo cono un veicolo 4x4. Ci limitiamo alla visita del primo settore, anche perché siamo malati a causa del clima ballerino di San Francisco.

 

 

Facciamo anche un giro in auto lungo il Colorado river, che passa per Moab, è molto piacevole e gratuito.

Giorno 11

Visitiamo il Natural Bridges National Monument http://www.nps.gov/nabr/index.htm, il parco più vecchio dello Utah. E’ piccolo ma carino con un canyon di roccia bianca  e nera e tre archi facilmente accessibili. Siamo contenti anche perché siamo in pochi.

 

 

A circa due ore da Moab lungo la HWY 191 raggiungiamo Blanding, un paese desolato con i classici cespugli di paglia rotolanti che si vedono in tutti i film western.  Ceniamo bene alla Homestead Steak House.

Giorno 12

Da Blanding si raggiunge la Monument Valley in 1 ora e 40 lungo la HWY 163. E’ fondamentale fare una deviazione  alla Valley of Gods, una splendida valle di formazioni rocciose che assumono tutte le sfumature di rosso. Non vi è quasi presenza umana, perché i turisti hanno fretta di raggiungere la ben più pubblicizzata Monument Valley, ma lo spettacolo è altrettanto impressionante. Forse mancano i grandi monoliti solitari, ma vi è un’alternanza di formazioni tale da accontentare qualsiasi estimatore della varietà di forme attraverso cui
la vita ci regala la bellezza. Regalare è il verbo più adatto perché qui si va gratis.

 

 

La Monument Valley http://www.navajonationparks.org/htm/monumentvalley.htm non fa parte dei parchi nazionali, ma è un parco Navajo. Il nostro pass è inutile e dobbiamo pagare l’ingresso di 5usd a testa. Ci consegnano l’opuscolo della scenic drive di 17 miglia che consente di vedere le formazioni rocciose più belle del parco, viste in centinaia di film western. Sembra di essere sul set di un film di John Ford e le occasioni da foto si sprecano, ma se per alcuni altri paesaggi, che ormai sono stati proposti da mille prospettive d’osservazione, analizzati nei documentari, mercificati nei volantini pubblicitari, memorizzati dai reportage di viaggio e poeticizzati da scrittori e cineoperatori, la diretta contaminazione d’occhi e sensi può essere deludente (un po’ come accade a noi al Grand Canyon), alla Monument Valley si può solo tacere e lasciare che l’ ”Elefante” barrisca per noi tutto il suo entusiasmo, o che le “tre sorelle” abbiano come cognome Bronte per raccontarci, come solo loro sanno fare, della terra che le ha partorite, lasciandole appese ad un cielo di velluto, che il “totem” possa ancora una volta farci vergognare per la distruzione di tutte le culture del mondo colonizzato dall’uomo bianco e che “il pollice” sia l’autostoppistica simbolica richiesta di portare a casa con noi il ricordo di queste immagini parlanti.


Dormiamo a Kayenta, a soli 30 minuti di auto dalla Monument Valley.

Giorno 13

Ci dirigiamo a Page, punto di partenza per visitare l’Antilope Canyon, che dista solo 20 minuti in auto. In paese ci sono moltissimi motel con prezzi bassi. Le agenzie che organizzano gite al canyon si sprecano. E’ conveniente utilizzare i loro servizi se non si ha un mezzo proprio. Tra l’altro utilizzano tutte dei mezzi aperti e se la giornata non è delle migliori si può avere parecchio freddo. Noi preferiamo andare direttamente al parco ed acquistare il biglietto d’ingresso (con tour e guida inclusi perché non si può fare altrimenti, cioè non si può entrare da soli nel parco ne in auto ne a piedi). E’ piuttosto caro, costa 25 UDS a testa, ma li vale tutti per l’unicità del paesaggio e le possibilità per fare foto pazzesche. E’ un piccolo canyon scavato nella roccia (una piccola spaccatura, proprio come si vede nella foto, larga un corridoio), dove il vento e la sabbia da esso trasportata hanno creato quell'effetto meraviglioso di levigatura della pietra, per cui si ottengono degli effetti di luce surreali, con il sole che filtra dall'alto e la sabbia che piove in continuazione negli occhi di chi tenta di prendere quelle splendide inquadrature; è un posto fuori di testa e le foto sembrano ritoccate, sembra che ci si possa girare qualche scena di un film psichedelico o di qualche video musicale di un gruppo tipo i porcupine tree. Il canyon non è molto lungo, lo si percorre tutto a piedi in poco tempo, ma la bellezza sta nel fermarsi ad ogni rientranza ad osservare e a scattare fotografie.

Bisogna farsi accompagnare da un navajo con la jeep 4x4 perchè è una loro riserva e la strada che ci arriva è molto sabbiosa.

 

 

Giorno 14-15-16

Poco dopo Page, lungo la HWY 89 ci fermiamo all’Horshoe Bend, poco segnalato. Si lascia l’auto nel parcheggio sulla strada e con una camminata di 20 minuti si arriva in cima a un canyon con una vista pazzesca, nel senso di stupenda.

 

 

La prossima tappa è il Grand Canyon. Ci illudiamo di poterci fermare a dormire prima di arrivare all’ingresso del parco, ma ci sono solo due motel, uno, indicato dalla Lonely Planet, è pieno e l’altro è talmente squallido che nonostante siamo distrutti decidiamo di proseguire fino a Flagstaff.

La cittadina è carina ed è il punto di partenza ideale per la visita al Grand Canyon. Dormiamo in un Days Inn dove ci fermeremo per 3 notti e ceniamo (per 3 sere consecutive) al Galaxy Diners, che non è niente male rispetto agli standard degli stati uniti e soprattutto servono un ottimo Big Kahuna Burger. Il locale in effetti ricorda quello in cui Samuel L. Jackson si fa restituire il suo “bad mother fucker wallet”.

Il Grand Canyon  http://www.nps.gov/grca/index.htm dista solo 1 ora e 30 in auto e la strada per raggiungere il South Rim, la parte più conosciuta e quella che anche noi visitiamo (il North Rim solo dalla metà di maggio fino a novembre), è piacevole. Per visitare il South Rim è possibile utilizzare lo shuttle gratuito che effettua

il trasporto tra il visitor center e i punti panoramici. Si può salire e scendere in qualsiasi momento e decidere quindi di camminare solo per una parte del sentiero panoramico.

Arrivando in auto la prima vista del Canyon è quella da Mather Point. E’ indimenticabile, ma ci sono molti altri viewpoint sul percorso di 42 km che dal Grand Canyon Village conduce a Desert View. Lo percorriamo nel primo pomeriggio all’andata e al tramonto al ritorno. E’ questo il momento migliore della giornata per fotografare il canyon grazie alla posizione strategica delle ombre sulle rocce.


Il giorno successivo decidiamo di visitare Sedona, una cittadina pittoresca a 50 km da Flagstaff. All’apparenza sembra un po’ fasulla, ma è caratteristica e merita una visita soprattutto per l’ambientazione naturalistica, circondata com’è da monoliti di rocce rosse.


Sconfiniamo in California e troviamo un’ottima sistemazione per la notte al Confort Inn and Suites di Blythe (http://www.comfortsuites.com/hotel-blythe-california-CAC20), l’ennesimo paese all’avanguardia nell’ambito della desolazione.
Giorno 17
Andiamo al Joshua Tree http://www.nps.gov/jotr/index.htm, una piacevole sorpresa, con delle ottime camminate e migliaia di occasioni per scattare delle foto, alcune di una bellezza straziante, tanto che anche Bono e C. dovettero chiamare così il loro album (che aveva già un altro titolo) dopo aver visto l’immagine poi ritratta sulla copertina.


Giorno 18
Abbiamo la malaugurata idea di visitare Palm Springs. L’arrivo è suggestivo in quanto si tratta di una specie di città oasi in mezzo al deserto. La città non ha niente di bello ed è molto cara.
 Passiamo la giornata alla piscina riscaldata del motel.
Giorno 19
Ritorniamo in Nevada con strada alternativa (che passa nel deserto del Mojave) alla solita battuta da tutti e
quindi un po’ più varia e dormiamo a Las Vegas. Gli hotel in città sono tantissimi e c’è la possibilità di trovare ottime offerte, soprattutto durante la settimana http://www.lasvegashotel.com/. E’ meglio prenotare in anticipo
anche perché il traffico sulla Strip è caotico ed è difficile fermarsi a chiedere informazioni alle reception degli hotel senza essere assaliti dai parcheggiatori.
La situazione ci stressa e finiamo a dormire al Confort Inn, in una via leggermente esterna e vicino all’Hard Rock Cafe, dove si può vedere di tutto, dalla moto di Nikki Six alla chitarra di Layne Staley.


Giorno 20
Lasciamo il Nevada per l’ultima volta e ci dirigiamo verso la Death Valley http://www.nps.gov/deva/index.htm. Qui non c’è altro che la magnificenza del sogno perché il luogo ha veramente qualcosa di magico, nella tenerezza aspra dei paesaggi e nel movimento dell’aria, calda come la folata di un forno che si apre in faccia ai coraggiosi ciclisti che la percorrono pedalando.


Dormiamo al Best Western di Lone Pine, un grazioso paesino con qualche ristorante caratteristico in stile saloon. E’ un piacere dopo i luoghi desolati del Nevada.
Giorno 21
Tentiamo di visitare il Sequoia NP, ma desistiamo dopo pochi chilometri. C’è la neve, la nebbia e la strada sembra pericolosa e non si vede nulla.
Ci dirigiamo quindi verso la costa e troviamo una stanza al travelodge http://www.travelodge.com/Travelodge/control/home di San Luis Obispo. Ceniamo abbastanza bene da Buona Tavola http://www.btslo.com/slo.html, un ristorante semitaliano in cui i clienti, dopo avere fatto la coda all’ingresso, si siedono per qualche minuto, piluccano qualcosa e poi chiamano la cameriera per farsi preparare la doggy bag. Che preferiscano avere qualcosa da mangiare a casa nelle loro enormi cucine (inutilizzate)??

Giorno 22
Percorriamo la Strada statale numero 1, con viste magnifiche sull’oceano pacifico e visitiamo Carmel, una specie di confetteria in cui i vecchi hippies si sono trasformati abilmente in artisti o in mercanti d’arte. Il paese è gradevole, ben collocato nei pressi di una spiaggia bianca, su un oceano un po’ inquietante.
Raggiungiamo Monterey, dove ceniamo da Bubba Gum alla Cannery Row, un tempo zona industriale, resa
famosa dall’omonimo romanzo di John Steinbeck, oggi trasformata in area di svago, ricca di ristoranti, locali e negozi. La notte è movimentata. Veniamo svegliati da un boato e vediamo una macchina in fiamme davanti alla nostra finestra nel parcheggio del motel. Arrivano pompieri e polizia. Capiamo che è stata incendiata volontariamente, ma nessuno ha visto niente…


Giorno 23
Prima di rientrare in Italia, per riacquistare gradualmente la familiarità con le nostre abitudini, facciamo visita ai nostri amici che vivono a Berkeley. Facciamo un giro nella storica università e cittadina e rafforziamo la nostra tesi sulla contraddittorietà di questo paese, scoprendo l’esigua distanza tra la pacifica ed intellettuale Berkeley ed altre località notoriamente violente come Oakland, dove il tasso di mortalità per armi da fuoco è simile a quello della seconda guerra mondiale.

Si torna da questo viaggio con il bagaglio pieno di immagini incredibili di una natura prodigiosa e talmente sorprendente da essere così a portata di mano eppure così rispettata nel suo sconfinato splendore. Come nell’immaginario collettivo ci si aspetta dall’Africa deserto e povertà e poi si scoprono cascate e ricchezza smodata, così dagli USA ci si attende industrializzazione ed urbanizzazione e poi si trovano deserti, montagne incontaminate, pianure sconfinate e parchi stupefacenti, in cui ogni cosa sembra trovare da sola il proprio scopo, compresa l’anima del viaggiatore.